
«Niente è più costoso di un’occasione persa».
(H. Jackson Bown Jr)
Caro lettore, adorata lettrice,
quante volte diciamo: «Che peccato!», senza pensare che stiamo citando un termine biblico né interrogarci su cosa davvero significhi questa espressione.
Esclamiamo «che peccato!» per commentare qualcosa di brutto che è accaduto e non avremmo voluto accadesse, tipo una disgrazia, un incidente, un evento infausto. Sarà perché siamo stati educati a pensare al peccato come a qualcosa che non si deve fare, che non dovrebbe succedere e invece, inesorabilmente, si verifica.
Curiosamente, nella Bibbia si intende per peccato qualcosa che invece avremmo dovuto fare, ma non abbiamo fatto. Una meta, un orizzonte, un fine che avremmo dovuto inseguire e perseguire e che abbiamo mancato.
Proprio così. Nell’Antico Testamento, che è scritto in ebraico, la parola più comune per “peccato” è hattat (חַטָּאת) che deriva dalla radice chata (חָטָא) e significa “mancare il bersaglio” o “fallire lo scopo”. Il concetto ritorna pari pari nel Nuovo Testamento, che è scritto in greco e chiama il peccato hamartìa (ἁμαρτία), sostantivo che deriva dal verbo hamartànō (ἁμαρτάνω) e che, udite udite, significa esattamente la stessa cosa: “mancare il bersaglio”, “fallire lo scopo”.
Ci siamo? Per la Bibbia è peccato un’occasione che ci siamo lasciati sfuggire, un bene che avremmo potuto compiere e ci siamo persi, un modo di essere luminoso che invece si è spento, un seme di speranza che avremmo potuto piantare e che abbiamo preferito disperdere al vento.
Il ragionamento sarebbe: «Avresti potuto essere, fare, amare di più e ci hai rinunciato: che peccato!».
Da dove mi vengono queste riflessioni così indigeste?
Dal fatto che tra una settimana, dopo più di 40 anni, vivrò una rimpatriata con alcuni compagni di classe. Alcuni di loro non li vedo dal 1983, anno della mia quinta ginnasiale. Come accade nei migliori degli amarcord, venati di nostalgia e sehnsucht, qualcuno ha messo su una chat, è partita la caccia ai numeri di cellulare, è stata lanciata l’iniziativa.
Alcuni hanno aderito subito e ci saranno. Altri pure hanno aderito subito, ma poi si sono scusati: chi ha comprato un campo e deve andare a vederlo, chi ha acquistato cinque paia di buoi e deve provarli, chi si è appena sposato e non può proprio venire…
Tra tutte si è distinta la risposta della mia ex compagna di banco, persona da sempre capace di pensiero e azioni divergenti. Quando l’ho invitata, lei mi ha risposto che odia le chat di gruppo, e ci sta, che le cene coi compagni di classe le mettono tristezza, e lo credo bene, e che preferisce ricordarmi come ero perché ero più carino. E qui si sbaglia: ora so fare molti più errori di un tempo, sono decisamente più fragile e interessante. Lei non lo scoprirà e io ho pensato: «Che peccato!».
Che poi, chi l’ha detto che le cose che mettono tristezza non meritano di essere attraversate? Non sono le stesse che ci danno gioia?
A proposito: sono pronto a scommettere che, in occasione della rimpatriata, ci faremo un sacco di risate e ci divertiremo assai. Quanto a chi non avrà potuto o voluto esserci, il commento dei presenti sarà unanime: «Che peccato!».
Augurio finale: che l’anno nuovo che stiamo per cominciare non sia una ricerca del tempo perduto, …questo sì che sarebbe un peccato!
Francis Bacone: «Un uomo saggio coglie più occasioni di quante ne trova».
Orison Swett Marden: «Non aspettare grandi opportunità. Cogli le occasioni comuni e rendile grandi. Le persone deboli aspettano le opportunità; le persone forti se le creano».
Charles M. Schulz: «Ho la sensazione che quando arriverà la mia nave sarò all’aeroporto».
Posso venire io?
Ti aspetto!