
Il calcio, da sempre, è lo sport più seguito e praticato nella nostra nazione. La passione di ogni singolo italiano amante del calcio nei confronti della Nazionale italiana e della propria squadra di club va oltre l’immaginabile, è spesso un qualcosa di indescrivibile. Gli interessi economici che, però, ruotano intorno a questo mondo risultano eccessivi, soprattutto considerando l’attuale situazione economica del nostro Paese.
Tra gli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, con l’economia italiana che procedeva a gonfie vele, sono state numerose le vittorie di squadre italiane in campo internazionale, sia a livello di nazionale che a livello di club. I presidenti di società guardavano oltre le frontiere esclusivamente per cercare qualche buon talento ancora sconosciuto da portare in Italia, dando così possibilità di lavoro e guadagno ad atleti stranieri.
Negli ultimi anni, invece, la situazione sembra ribaltata: nel mondo del calcio, infatti, sono tantissimi i presidenti stranieri arrivati in Italia, che danno lavoro agli italiani. Qualcosa, evidentemente, è cambiato con il passare degli anni e con l’avanzamento della crisi economica, non solo per quanto riguarda i risultati sul campo, ma anche a livello societario.
La crisi economica che ha colpito il nostro Paese ha avuto i suoi effetti negativi sul portafoglio dei tanti presidenti che, se prima potevano spendere e spandere per i propri club, adesso sono costretti, in alcuni casi, a ridimensionare i propri progetti, in altri, addirittura alla vendita della propria società.
Si è accresciuta pertanto la tendenza ad aprire le frontiere del calcio italiano, dapprima sottoscrivendo contratti di sponsorizzazione con molteplici aziende straniere che, a poco a poco, sono riuscite ad entrare nel tessuto calcistico italiano, fino ad arrivare ad imprenditori stranieri che acquisiscono una percentuale, o addirittura la totalità delle quote, di tante nostre squadre di calcio.
Tra le società più importanti va citato il caso della Roma che, dopo decenni di presidenza Sensi, dal 2012 è in mano a James Pallotta, imprenditore statunitense di Boston, come anche il caso dell’Internazionale che Massimo Moratti ha ceduto nel 2013 all’indonesiano Erick Thohir.
Imprenditori stranieri, ormai, sono al comando non solo delle squadre più blasonate d’Italia, ma anche di realtà del cosiddetto “calcio di provincia”: basta citare il caso del Pavia, società di Lega Pro, che ha un presidente asiatico, il cinese Xiaodong Zhu che, da pochi mesi, ha prelevato la società lombarda.
Il leit motiv di questi imprenditori stranieri che si sono affacciati e che si affacciano nel mondo del calcio sembra essere lo stesso: portare nuova linfa alle casse societarie. E le società italiane rimaste in mano a imprenditori italiani, come se la passano? Alcune decisamente bene: è il caso della Juventus di proprietà della famiglia Agnelli che, anche grazie al primo esempio di uno stadio di proprietà di una società italiana, sembra risentire poco della crisi economica, e infatti i risultati sul campo non stentano ad arrivare. Altre, invece, decisamente peggio, ed è il caso del Milan di Silvio Berlusconi che, dopo decenni di successi nazionali e internazionali, sembra passare un periodo poco felice, anche se la presentazione del progetto riguardante il nuovo stadio di proprietà, presentato proprio qualche settimana fa, lascia ben sperare.
Un forte plauso va, invece, a società “modello” di proprietà ancora tutta italiana come l’Udinese di Giampaolo Pozzo, il Sassuolo di Giorgio Squinzi ed il Torino di Urbano Cairo, che, con un budget non elevatissimo a disposizione, fanno della programmazione a medio-lungo termine la loro arma vincente, riuscendo così a far competere con discreti risultati nel massimo campionato italiano. La speranza è che, con il passare degli anni e con l’auspicio di una ripresa economica nazionale, le società ancora in mano a presidenti italiani possano tornare ad affermarsi a livello internazionale ridando linfa ad un calcio nobile, ma ormai decaduto, come quello italiano.