Dopo l’ennesima mezza gaffe di Biden…

Nei giorni scorsi il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti interverranno militarmente nel caso la Repubblica Popolare Cinese invada Taiwan, salvo poi quasi smentirsi ribadendo che la politica statunitense nel riconoscere l’esistenza di una sola Cina non cambia.

Ora quest’ennesima mezza gaffe di Biden non è neanche necessariamente una cosa negativa, visto che fungerebbe da deterrente nel caso il governo cinese guidato da Xi Jinping avesse davvero intenzione di invadere l’isola, ma crea ulteriore confusione da un punto di vista meramente politico e geopolitico.

Alcune delle persone, con cui ho parlato, pensano che Taiwan sia a tutti gli effetti uno stato indipendente, che la Cina si ostina a non riconoscere, ma le cose non stanno proprio così.

Per quanto de facto il governo di Taipei amministri del tutto autonomamente l’isola, con un sistema molto più vicino a quelli democratici occidentali rispetto a quello di Pechino, questa è ancora da considerare parte della Cina, e non perché lo dico io o lo dice il governo della Cina continentale, ma perché ciò è riconosciuto da quasi tutto il mondo, compresi Stati Uniti e Unione Europea, in base alla “One China Policy”, e cioè la politica del riconoscimento dell’esistenza di una sola Cina.

Sottolineo “quasi” tutto il mondo perché ci sono ancora quattordici stati (tra cui il Vaticano) che riconoscono la Repubblica di Cina (nome ufficiale del governo di Taipei), ma oltre a essere Stati minuscoli e molto poco decisivi nello scacchiere politico internazionale (il più grande di questi è il Guatemala), sono Paesi, e ciò va sottolineato, che considerano quello di Taipei come il governo legittimo dell’intera Cina (secondo la stessa costituzione della Repubblica di Cina, la capitale ufficiale dello Stato è Nanchino, ed essendo questa occupata, allora Taipei ne fa le funzioni provvisorie), non riconoscono Taiwan come uno stato indipendente dalla Cina continentale, e di conseguenza considerano il governo di Pechino illegittimo e non lo riconoscono ufficialmente, sempre in base alla One China Policy; ma soprattutto è Taiwan stessa a non considerarsi ufficialmente uno stato indipendente, in accordo alla già citata costituzione della Repubblica di Cina, costituzione che ribadisce l’obiettivo di far cadere il governo comunista e riconquistare l’intera Cina, che fu persa dal Partito Nazionalista Cinese (国民党 Guomindang, che allora governava appunto la Repubblica di Cina, che era il nome dell’intero Stato) durante la guerra civile con i comunisti dal 1945 al 1949, nonostante il sostegno economico e militare degli Stati Uniti, sostegno che è rimasto più o meno inalterato fino a oggi (senza di esso molto probabilmente l’isola sarebbe già stata riannessa al continente da tempo), nonostante sia venuto a mancare il riconoscimento diplomatico.

Detto questo, io sono il primo ad augurarmi che rimanga inalterato lo status quo, un’operazione militare di Pechino contro Taipei sarebbe catastrofica, ma se a Pechino decidessero di riprendere il controllo dell’isola con la forza, quale dovrebbe essere la posizione della comunità internazionale al riguardo?

Se, come mi sembra altamente probabile, l’Unione Europea e la NATO seguissero gli Stati Uniti nella guerra contro la Cina, allora l’intervento contro la Repubblica Popolare Cinese sarebbe giustificato e appoggiato, ma ciò entrerebbe evidentemente in contraddizione con il principio di salvaguardia dell’integrità territoriale che è alla base della ferma opposizione all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, le cui dichiarazioni che affermano che non si tratta di una guerra o un’invasione, ma di un’operazione militare speciale in difesa delle popolazioni russofone e indipendentiste del Donbass, sono respinte categoricamente da parte dell’Occidente.

Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Wang Weibin ha infatti colto la palla al balzo, dichiarando che, se Taiwan è riconosciuta a livello internazionale come parte integrante della Cina, allora bisogna chiedersi perché mai gli Stati Uniti parlino di invasione.

Questa contraddizione rende evidente come le cause che ci stanno a cuore dipendano molto non solo dall’empatia per le vittime, ma soprattutto dall’antipatia per gli oppressori, in un rapporto che si può definire inversamente proporzionale; tanto più odiamo l’aggressore, tanto più solidarizziamo con gli aggrediti, mentre accettiamo e anche giustifichiamo gli abusi di chi opprime quando questo ci piace o è nostro amico, e poniamo tanti se e tanti ma quando parliamo della causa delle vittime, come succede in Palestina, o per quanto riguarda gli indipendentisti delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk, e tanti altri casi.

Ora noi possiamo anche credere di essere sempre nel giusto, e magari lo siamo davvero, possiamo affermare orgogliosamente di essere i difensori della democrazia e dei diritti umani in tutto il mondo, ma se pensiamo che tutto il resto del pianeta debba accettare i nostri criteri di libertà e democrazia, e stigmatizzare chi non si adegua, allora da un lato forse non siamo così democratici e la nostra mentalità è rimasta ancora quella che nel diciannovesimo secolo ci spinse a colonizzare mezzo mondo (il famoso “fardello dell’uomo bianco”), dall’altro, pur continuando ad ammettere che la nostra è una causa giusta, dobbiamo accettare l’idea di vivere con il pericolo costante dello scoppio di una guerra mondiale, perché ci sarà sempre qualcuno che vedrà il mondo diversamente da noi Occidentali, ci saranno sempre Paesi che seguiranno altre vie rispetto a quella democratica Occidentale, e spero che nessuno si illuda che un’eventuale vittoria contro la Russia e la Cina, cioè le due potenze non democratiche e avversarie degli Stati Uniti, porterebbe la democrazia, e di conseguenza la pace, in tutto il mondo.

La storia ci insegna bene che non esistono “guerre che mettono fine a tutte le guerre”, e che l’umiliazione dell’avversario, per quanto secondo noi meritevole di ciò, ha sempre conseguenze nefaste, anche nel breve periodo.

Meglio convivere e cercare di trattare con chi non ci piace, o dichiarare una guerra perenne al “male”?