Questo libro intrattiene con istruzione e diligenza. Gli manca la cultura umana e narrativa per andare oltre.

A 28 anni scrivere un romanzo che sta avendo tanto successo,  una storia drammatica ambientata negli anni trenta purgati dal fascismo è a parere mio o un abbaglio a furor di popolo o il metro di valutazione di un popolo di lettori sporadici e annoiati.

Leggo e apprendo che Beatrice Salvioni, classe 1995, si è diplomata alla Scuola Holden nel 2021 e ha vinto il Premio Calvino racconti. “La Malnata” è il suo primo romanzo, sta per essere tradotto in tutto il mondo e persino per diventare una serie tv.

Sono stato tra coloro che pochi minuti dopo averne letto e sentito parlare, lo ha comprato e divorato con la fame di chi vuole disperatamente saziarsi, emotivamente, anche solo per il tempo della lettura. Cercare sempre ogni briciola di umano senza arrendersi, dovremmo farlo tutti.

E ho sentito la grandezza della storia raccontata ma ne ho anche avvertito i limiti narrativi. Un contesto storico spennellato con cura, mai approfondito a tal punto da diventare alloggio gratis per i reietti, i quasi umani, i fascisti, i bigotti; e un posto scomodo per gli straziati, quelli con una coscienza soffocata dalla paura delle manganellate, degli agguati, delle coltellate notturne, delle torture riservate a chi osa ribellarsi.

Non si scherza con la storia, va vestita e non gettata addosso, serve il ferro da stiro della passione.

E c’è il limite dei dialoghi,  senza la pietas che le due vite,  quelle di Francesca e Maddalena avrebbero meritato.

In ogni angolo del libro, in ogni parola c’è il limite culturale e umano dell’autrice che può essere brava quanto piace a certi editori, ma non va oltre la “giusta misura”, non osa, imprigiona i personaggi e le situazioni con la giusta istruzione e diligenza perché nessuno degli altri si senta leso nella propria specialità. I greci lo sapevano,  “hyper tò anthrópinon méytron”.

È una orchestra perfetta, un’opera intellettuale pensata e studiata nei dettagli che abbandona qua e là al proprio destino di nuove privilegiate dell’editoria giovanile esordiente, due protagoniste che avrebbe potuto deflagrare e stordire, picchiare e compiacere sino a far sentire la propria mancanza al lettore.

L’autrice ha studiato in una delle Scuole di scrittura più prestigiose italiane,  la Holden, un esempio accademico pieno di persone speciali e meritevoli.

In quel luogo, azzardo, forse la dedizione verso le parole, non averne di appropriate significa non poter avere le cose del mondo, è spesso confusa e spacciata senza dolo per talento.

E tanti che desiderano scrivere per vivere si ritrovano a dialogare con il dio della fama nell’agnosticismo cognitivo di massa.

È necessario prima vivere e leggere. Perché non si può imparare a scrivere fermandosi per magia a fumare una sigaretta con Beppe Fenoglio: quando racconta di un adolescente di 14 anni che sta per essere fucilato, si prova una tale pena che si vorrebbe essere lì per impedirlo. L’autore diventa regista. È un miracolo regalato dalla vita a pochi. E il resto può solo fare del proprio meglio per intrattenere. Ecco, questo libro intrattiene con istruzione e diligenza.  Mi ripeto, gli manca la cultura umana e narrativa per andare oltre.

Ho la sensazione spiacevole che abbia contribuito al successo editoriale anche la potenza del titolo, “La malnata”, la porta sfortuna.