QUELLA NOSTALGIA CHIAMATA JUGOSLAVIA

Strade, locali e musei rievocano un sentimento di nostalgica memoria, mai sopito a Belgrado.

La nostalgia è un sentimento romantico e altrettanto crudele, che prova a riportare nel presente un passato certamente gioioso e felice. Un po’ come quando gli anni iniziano a pesare e si guarda con una vena di rimpianto e tristezza al passato alla giovinezza. La nostalgia, al contempo, è un sentimento che si manifesta attraverso il ricordo comune, della moltitudine, della grandezza di un tempo oramai lontano e forse irripetibile. È qualcosa che si percepisce nei romanzi di Orhan Pamuk allorquando parla della sua Istanbul, che produce per l’appunto tale tristezza non “come una malattia temporanea, oppure come un dolore di cui liberarsi, ma come una scelta”. La nostalgia è una scelta, ma può produrre l’orgoglio dei tempi che furono ed è qualcosa che si percepisce camminando per le vie di Belgrado, dove il ricordo del suo status di grande capitale dei Balcani, si respira percorrendo le strade o visitando le principali attrattive della Città Bianca.

Palazzi, monumenti e finanche uomini di una certa età, quelli che hanno avuto la fortuna di vivere le innumerevoli transizioni, sembrano fermare il tempo agli anni del Bratstvo i Jedinstvo, di socialistica memoria. In questi giorni di vacanza familiare, appuntamento estivo irrinunciabile, mi sono imbattuto in alcuni luoghi che rendono perfettamente questa nostalgia per gli anni del socialismo di Josip Broz Tito. Non lontano dalla mia temporanea residenza si trova il Museo dell’Ex Jugoslavia, un percorso che proietta il visitatore in una celebrazione quasi liturgica dello Stato socialista, ma forse ancor più in un’esaltazione napoleonica di Tito (associazione non tanto ardita perché Josip Broz è morto il 4 maggio, un giorno prima di Bonaparte) che culmina con la vista granitica del suo mausoleo, dove riposano le spoglie mortali. In questo luogo è possibile osservare i vari regali che Drug Tito ha ricevuto nelle sue innumerevoli visite, in particolare da quei Paesi non allineati, il Terzo Mondo, di cui era uno dei promotori insieme a Nasser e Nehru.

Le fotografie rimandano alla personalità magnetica del leader jugoslavo che incontrava i potenti del mondo, con l’istantanea che lo immortala con John Fitzgerald Kennedy che lascia il segno, perché scattata giusto  un mese prima dell’attentato di Dallas. È possibile notare la presenza dei simboli del tempo socialista, oggetti e suppellettili prodotti in Jugoslavia . Come detto, il tour termina nella Casa dei Fiori dove si trova la tomba di Tito e di sua moglie Jovanka, defilata sul lato sinistro, un luogo silenzioso dove la lastra marmorea incute un certo timore.

In via Cirillo e Metodio nel quartiere di Zvezdara, nascosto nelle viscere di un palazzo, si trova un locale unico e sconosciuto, Pavle Korčagin, un vero e proprio salto nel passato socialista a tutto tondo, dove bandiere, emblemi, mezzi busti e libri ti rimandano a un’epoca amena e terribile a un tempo, dove campeggia anche una bandiera di Sinistra, Ecologia, Libertà di Vendola. Parlando di una kafana, ovvero la classica taverna serba, che è qualcosa di più, un vero e proprio luogo di aggregazione per tutte le estrazioni e le classi sociali, non si può far a meno di parlare del cibo che viene offerto, che risulta essere davvero gustoso e che è il vero legame tra i figli contemporanei e i padri del tempo socialista. Aperto nel 2001, il locale è dedicato al protagonista del romanzo Kako Se Kalio Čelik (Come si è temprato l’acciaio), molto popolare negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso tra i giovani jugoslavi. Abbiamo assaggiato dell’ottima čorba (zuppa in parole povere), delle kiflice e un mix di carne, che a queste latitudini fa la voce grossa ed è molto gustosa.

La musica dei gruppi dell’Ex Jugoslavia fa da sottofondo, catapultando gli ospiti della kafana in un’epoca ormai lontana. Si respira un’aria sospesa, come se il tempo fosse stato magicamente incapsulato e si respirasse lo spirito di trenta, quaranta, cinquant’anni fa. E il cameriere è ben lieto di parlare della tradizione del locale e della sua popolarità.

Per le strade resta la nostalgia della grandezza di uno Stato che contava 25 milioni di abitanti, che trasuda dalle rughe dei suoi prestigiosi palazzi che stancamente si reggono su fondamenta pluri decennali, come nel caso Beograđanka, o il quasi secolare Palata Albanija, che racconta la nostalgica amicizia con il popolo albanese, oggi al centro della contesa per il Kosovo, che i serbi non mancano di sottolineare in ogni dove. Remember, Kosovo is Serbia recita la scritta sull’ultimo ponte pedonale che precede l’aeroporto Nikola Tesla, per avvertire il turista, lo straniero o lo stesso serbo che la nostalgia è anche rabbia per ciò che si ritiene perso. Questa nostalgia si produce in uno stato di agitazione che si rammarica per quell’antica grandezza che faceva di Belgrado il centro di quello che oggi chiamiamo Balcani occidentali e che oggi sgomita per farsi valere agli occhi del mondo. La nostalgia a queste latitudini ha qualcosa di triste, uno stato d’animo che si dimentica con del buon vino e della rakija, che tramutano in un’ebbrezza comune e gioiosa, ritualità che li accomuna agli antichi padri del mondo socialista, che si ripete nelle migliaia kafane di Belgrado, ancor di più tra i tavoli variopinti e di rosso colorati di Pavle Korčagin.