Fermare un lupo solitario è difficile: quali le misure di sicurezza? I blocchi di cemento? Monitorare il territorio? Scovare i teatri della propaganda, della radicalizzazione? Sicuramente. Una radicalizzazione si può certamente scovare. Ma la questione è soprattutto culturale…
Barcellona: andremo avanti per anni nel meravigliarci della crudeltà disumana che spinge a rendere un furgone un’arma per falciare vittime lungo una strada, e peggio, continueremo a chiederci come sia possibile che giovani europei, nati e cresciuti qui, siano capaci di trasformare in un mattatoio le strade della loro casa.
Il punto è allora questo: per quanto ci sgoleremmo nel ripetere “ alle case loro”, “li ospitiamo e poi diventano terroristi”, “ sono tutti pazzi questi musulmani”, non riusciremmo mai a trovare il punto principale della discussione, che è il concetto stesso di casa.
Evidentemente per il diciassettenne co-autore della strage di Barcellona, la Spagna non è casa benchè ci sia nato e cresciuto, come non lo era il Belgio o la Francia per gli attentatori di Parigi e di Nizza, a tal punto che hanno trovato nell’estremismo quel bisogno di “appartenenza” (anche se è difficile definirla così) che è tipico di ogni civile. Nessuna giustificazione, assolutamente: solo una lettura critica e molto ampia, di un fenomeno che è molto più complesso di quanto sembri, e che è innanzitutto culturale.
Evidentemente la colpa è sopratutto di una religione che è stata estremizzata e che nei suoi presupposti teologici si presta al significato violento (del resto l’Islam si sviluppa nel Medioriente della cultura nomade e tribale, necessitatante di unificazione, che era quella in cui Maometto si trova a predicare), ma che non è solo questo (emblematico è l’esempio del significato di Jihad, che nella teologia islamica indica lo sforzo di avvicinarsi a Dio e nella traduzione estremista diventa Guerra Santa); certamente un corto circuito nei decenni è avvenuto anche in questa cultura, quella occidentale, che ha eliminato le forme più evidenti di discriminazione (oggi, del resto, non va più di “moda” essere razzisti), ma non ha estirpato le sue forme minori: un ampio studio viene condotto dai centri di ricerca sul pregiudizio razziale, che parlano spesso di discriminazione ambigua, una forma di razzismo sottile ma dannosa, che si manifesta in forme minori ma più logoranti sui lunghi tempi, quella che porta a chiamare lo straniero con nomignoli e a identificarlo con tutta la sua cultura d’appartenenza, che porta il “diverso” a dover giustificare la propria cultura e religione, che enfatizza la differenza, in un unico stato, tra un noi e un loro. Piccole cose che possono produrre grandi effetti.
Non è un caso che le fucine di terroristi siano, in Francia, proprio le banliue: povertà, rancore sociale ed estremismo sono la formula che spinge a guardare alla maggioranza culturale di un Paese come l’infedele da correggere e aggredire. E non è un caso che i recenti attentanti siano stati fatti con mezzi di poco conto: un furgone è bastato a Nizza, come a Berlino, come a Barcellona. Se si parla di una guerra a pezzi, dove le piazze possono diventare campi di battaglia, si parla anche di terrorismo molecolare, dove un lupo solitario può spargere panico e sangue quanto una bomba.
Ma fermare il lupo solitario forse è ancora più difficile: quali le misure di sicurezza? I blocchi di cemento? Monitorare il territorio? Scovare i teatri della propaganda, della radicalizzazione? Sicuramente. Una radicalizzazione si può certamente scovare. Ma qui la questione diventa, a un certo punto, soprattutto culturale, perchè l’attacco è alla cultura. Tutti i recenti attentati hanno in comune l’aver colpito l’occidentalità, la libertà di stampa, la musica e la mondanità, il turismo, la nostra cultura: i terroristi di Barcellona volevano far saltare in aria la Sagrada Familia, per intenderci.
Questa volta, colpire a Ferragosto, a Barcellona, nella Rambla, ha significato anche colpire il cuore dell’Europa e ciò che essa è, cultura e turismo compreso. E allora la battaglia che dobbiamo condurre è sempre e ancora culturale, così che il pugno di ferro contro gli stranieri non serve, ma soprattutto alzare le barriere adesso è inutile. I terroristi, del resto, sono sempre stati tutti europei.