I mercanti nel tempio: scippo ad Atene
La narrazione si fa ora personale, il racconto di prestazioni e di gare vissute in prima persona, seppur dietro uno schermo televisivo perché Atlanta 1996 rappresenta la prima Olimpiade assaporata con cognizione e consapevolezza, il ricordo romantico del primo vero approccio ai Giochi. Tralasciando la nota squisitamente personale, ma non per questo meno precisa, i Giochi della XXIV Olimpiade furono quelli del centenario. Logico pensare che nella mente di de Coubertin, e non solo, Atene sarebbe stata la sede più degna per celebrare questo prestigioso traguardo. Gli stessi dirigenti della politica greca avanzarono la candidatura della capitale greca, certi di poter sfruttare la favorevole coincidenza. Ma sulla scena apparve minacciosa Atlanta, città della Coca-Cola, concorrente temibile dal punto di vista commerciale, che arrivò a giocarsi l’assegnazione il 18 settembre 1990 a Tokyo. Il voto fu uno schiaffo agli ideali olimpici e alla sua storia: Atlanta batté la concorrenza di Atene con 51 voti a 35.
Lo smacco era compiuto.
Gli americani, quasi con un gran senso di timore e di colpa, cercarono con riverenza di richiamare per tutta la durata dei Giochi la storia e lo spirito delle Olimpiadi, soprattutto durante l’inaugurazione, anche se rovinarono tutto quanto possenti jeep entrarono sul terreno e “Atlanta” fu scritta alla maniera della famosa bevanda. Nonostante questo, la cerimonia d’apertura toccò il punto più alto quando Mohammed Alì, già con i segni visibili del Parkinson, accese il tripode olimpico e diede il via alle gare.
Fu un’Olimpiade dai grandi nomi e dalle vittorie memorabili che ebbe nell’atletica i suoi nomi più illustri. Uno su tutti: Michael Johnson. Goffo, da meritare soprannomi come “soldatino di piombo” o “Forrest Gump” per via della sua corsa, già ai Trials fece capire che ai Giochi avrebbe fatto la voce grossa, stabilendo il nuovo primato del mondo 19”66. Il record di Pietro Mennea cadde dopo diciassette anni. Ad Atlanta vinse con record olimpico i 400 e sui 200 cercò l’impresa mai riuscita a nessuno: la storica doppietta nelle due distanze. Il giorno della finale, il 31 luglio, la tensione era palpabile e il colpo dello starter ruppe il silenzio dello stadio che assistette ad una delle prove di potenza e velocità più memorabili della storia dell’atletica. Dopo la curva, Johnson aveva una decina di metri di vantaggio su Fredericks e Bolton e al traguardo stabilì il nuovo primato del mondo con 19”32. Nei 100 metri Fredericks, eterno secondo, fu beffato dal canadese Donovan Bailey che precedette il namibiano e di nuovo Ato Bolton con il tempo di 9”84, nuovo primato mondiale. Nacque il dilemma su chi fosse l’uomo più veloce della terra tra Bailey e Johnson. I due si sarebbero sfidati poi in una gara di 150 m l’anno dopo, vinta da Bailey con Johnson a mezzo servizio. Tanti i protagonisti ed è difficile fare una cernita. Si potrebbe sicuramente parlare del nono oro di Carl Lewis, il quarto di fila nel lungo, della doppietta 400-800 metri di Marie José Perec o degli eterni secondi Marlene Ottey e dello stesso Fredericks. Insomma, più che vittorie sconfitte illustri come quella di Edwards nel triplo beffato da Harrison.
La maratona vide il successo di un sudafricano di colore, Josia Thugwane, un successo simbolico dopo gli anni dell’apartheid. Nel nuoto la spavalderia di Gary Hall jr fu punita da Aleksander Popov, vincitore dei 50 e 100 M sl. Quattro ori per I russi, grazie anche ai due di Pankratov nei 100 e 200 m farfalla. Anche gli ungheresi ebbero le loro gioie con Rozsa, Czene nei 200 m misti e la Egerszegi al suo quinto oro. Sorprese al femminile: Claudia Poll, costaricense, sorprese Franziska Van Almsick sui 200m sl. Dubbie destarono le medaglie di Michelle Smith, tre ori per l’Irlanda e una carriera finita per doping anni dopo. Negli altri sport meritano una menzione particolare l’oro, di Miguel Indurain nella cronometro di ciclismo, le affermazioni di André Agassi e della Davenport nel tennis, l’oro del Dream Team nella pallacanestro e soprattutto l’incredibile affermazione della Nigeria di Nwanko Kanu, Babangida, Jay-Jay Okocha e Oliseh nel calcio, che batté clamorosamente l’Argentina dei vari Crespo, Almeyda, Zanetti, Ortega e Claudio Lopez per 3 a 2 in finale. La nostra nazionale, fresca del titolo europeo under 21, non riuscì a superare il primo turno. Ci si attendeva tanto dal volley dove l’Italia era indiscussa favorita e campionessa di tutto. Il percorso netto degli Azzurri fu interrotto proprio in finale dall’Olanda che vinse 3 a 2 al tie-break. Cocente, terribile delusione che fu attenuata da ben tredici medaglie d’oro per i nostri colori. E tutto iniziò quasi per incanto in un tardo pomeriggio di luglio con l’oro, inaspettato questo, di Roberto Di Donna che ben volentieri si sarebbe accontentato dell’argento. Il suo rivale Wang Yifu fallì un colpo semplice, che nemmeno un bimbo al Luna Park avrebbe sbagliato, e Di Donna vinse l’oro per un decimo di punto. Il ciclismo ci diede ben quattro medaglie d’oro, nonostante la delusione per la prova in linea. Tre dalla pista le nostre medaglie: Silvio Martinello vinse la corsa a punti, Andrea Colli nell’inseguimento individuale, Antonelli Bellutti l’inseguimento femminile. Restò impresso l’oro di Paola Pezzo e quella sua cerniera della maglia azzurra tirata su per chiudere la scollatura. Antonio Rossi portò in dote all’Italia le prime medaglie d’oro nella canoa, mentre gli Abbagnale e Tizzano nel due con vinsero nel canottaggio. La scherma ci diede tre ori con Alessandro Puccini (fioretto), nella squadra di spada maschile e il fioretto femminile. Nel tiro sì aggiunse a Di Donna Ennio Falco. Poi Yuri Chechi, il signore degli anelli, che dopo la sfortuna di Barcellona, dove poteva già arrivare l’oro, fu semplicemente perfetto nel suo esercizio e vinse quell’oro che gli mancava. Come accadde nel volley, alcuni argenti furono degli ori mancati o attesi , come quello di Fiona May nel salto in lungo o forse quello della giovane Valentina Vezzali. Emanuele Merisi fu bronzo nel nuoto dopo Battistelli e Sacchi e ci sembrò di aver già toccato il punto più alto. Ma da Sydney in poi il movimento conobbe un’esplosione improvvisa.
Con tredici ori, dieci argenti e dodici bronzi si chiuse un’Olimpiade positiva per i colori azzurri. Il medagliere fu vinto dagli Stati Uniti davanti alla Russia e alla Germania. Lo stadio, terminato nell’anno dei Giochi, fu demolito dopo le paraolimpiadi, dimenticando storia e riverenza.
L’ultima edizione dei Giochi del XX secolo si sarebbe disputata a Sidney, in un clima ancora spensierato, prima che il mondo piombasse in quell’11 settembre che ha cambiato inevitabilmente il corso della storia recente.