23 vittime, un mese fa. Ora non vogliamo la farsa. E neppure la beffa, dopo il danno.

L’atmosfera straripa di rabbia e gronda di pietà e misericordia. Lo strazio è alle stelle. Nel palasport di Andria. Appena alcuni giorni dopo l’immane tragedia.

Ne trascorreranno tantissimi, perché il tempo possa lenire le atroci ferite ed i lancinanti lutti inferti da una sciagura. Prevedibile. Evitabile. Con accorgimenti. Semplici. Pretesi dalla UE sulla rete ferroviaria nazionale, ma non imposti con la stessa energia alla compagnia privata, una delle tante lobby che bivaccano e gozzovigliano allegramente in Italia.

L’assemblea dei fedeli è raccolta intorno a numerose bare, per commemorare i viaggiatori stritolati e mutilati dalle lamiere contorte o scagliati violentemente contro gli ulivi, increduli di assistere al violento scontro frontale di due treni. A memoria di ogni cellula vegetale, mai avevano presenziato ad un simile evento. Luttuoso e delittuoso.

Per decenni, i maestosi alberi della pace e dell’olio extravergine si erano rallegrati al fischio delle locomotive, allo sferragliare dei convogli, alle voci che parlavano di lavoro, amore, studio, inquinamento, tasse. Disoccupazione. Sfruttamento. Discriminazione. E digrignavano i denti e riflettevano, preoccupati e commossi. Ora anche loro sdegnosamente stormiscono. E il vento informa tutti gli ecosistemi.

Il binario della ferrovia è unico, come quello che unisce lunghi tratti del Mezzogiorno, dalla lontana seconda metà dell’Ottocento, quando la compagnia belga costruì la linea ferrata. E pensare che la Napoli-Portici fu la prima tratta ferroviaria realizzata nel 1825. Sotto i Borboni. Ci sarebbe da rimpiangerli. Ora, a distanza di due secoli. Ma la storia la scrivono sempre i vincitori. A loro vantaggio. E degli errori non fanno mai ammenda! I tronfi!

Arrivò dal nord, il generale Cialdini, a cui verranno ignominiosamente dedicate strade cittadine. Con pugno di ferro, l’energumeno, represse i “Briganti”, problema sociale e non delinquenziale. E seminò rassegnazione. Che continua ancora a germinare, concimata dai colletti bianchi di oggi, con i guanti di velluto, apparentemente meno feroci. Più subdoli, perché sorretti dall’ideologia del consumismo e da media sviolinanti.

Niente di nuovo, quindi, sul fronte del Mezzogiorno di Salvemini. Sui piani alti, inoltre, non si paventa minimamente il rischio che possa esplodere un giorno o l’altro, una reazione popolare, difficile poi da gestire democraticamente.

Avrebbe dovuto essere raddoppiato il binario unico entro il 2015, ed i finanziamenti giacevano da anni, ma le cosiddette lungaggini burocratiche, l’ignavia politica e la distrazione dei cittadini ne impedivano la cantierizzazione e la realizzazione. Ora, restano sul campo, morti, sofferenze inaudite, mutilazioni, cicatrici nell’animo e nel fisico, macerie, ulivi stroncati e… tante polemiche. Blatera anche chi dovrebbe sprofondare sotto i chilometri di roccia calcarea adagiati su quella basaltica.

Una marea di gente affolla il palasport, non per passione sportiva. È addolorata e sofferente. Volti angosciati, corpi stremati, sguardi persi che vagano nel vuoto, parole di consolazione che appena lambiscono l’abisso del dolore. Fazzoletti gocciolanti, ultime residue lacrime. Solo chi è assistito dalla fede ultraterrena, pur sussultando scompostamente, a tratti, trova sostegno e quiete, nella mano della Provvidenza.

Le responsabilità dell’accaduto sono sotto gli occhi di tutti. Il sistema di sicurezza, obsoleto. Quali altre sferzanti parole può pacatamente urlare il vescovo, voce terrena del Cristo, per cacciare i mercanti dal palasport, locale e nazionale?

Ma nessuna delle facce di bronzo abbarbicate al potere ed agli affari manifesta l’ardire o avverte la dignità di squagliarsela. A rotta di collo. A gambe levate! Sono accorsi anche dai colli alti! Per dovere istituzionale?!

Neppure comuni cittadini, nel tempo venuti meno a doveri sociali, civili, politici, culturali avvertono il buon senso di allontanarsi a passi felpati, alla chetichella. Per dignità verso se stessi. Per rispetto verso i defunti. Per decoro verso chi soffre terribilmente.

Tutti presiedono sereni e partecipano compunti al sacro rito. Che diventa farsesco. Nessuno che si chiede perché molti parenti di vittime non hanno aderito al funerale di Stato. Preferendo un funerale privato. Sincero.

A giorni, poi, tutto sarà dimenticato. Basterà, infatti, una partita di calcio, del farlocco e soporifero intrattenimento televisivo e qualche manciata di euro, distribuita prima delle consultazioni, per seppellire definitivamente le vittime, per blandire l’atroce sofferenza dei congiunti ed il terrore dei sopravvissuti. Che rimarranno sempre soli. In un Paese che non è normale, per colpa di ciascuno di noi.

Perciò, da subito alligni in te, lettore, in me, scrivente, in ciascuno di noi, una “vita sinceramente più etica” fatta di piccoli gesti quotidiani di cambiamento.

Per farsi bello, Renzi, ontologicamente ciarlatano e cialtrone, persevera nel promettere, dieci milioni di euro, pubblici. Intenderebbe risarcire le famiglie delle vittime. Il danno e la beffa. Il risarcimento, in realtà deve essere soddisfatto con risorse finanziarie prelevate dai gestori della linea ferroviaria. Non basta spremere i contribuenti? Molti non hanno più neanche le… tasche oltre che le lacrime e la speranza.

Intanto, passeranno anni perché la linea ferroviaria venga ripristinata nella sua interezza. Giustamente esonerati dal disagio, per l’alto lignaggio, petrolieri, banchieri, manager di Stato, alti burocrati, “politici”. Ne dovranno pagare lo scotto, i pendolari, ciarpame umano indistinto, neppure riciclabile, che alle fatiche quotidiane dovranno semplicemente aggiungere quella del trasbordo. Perché, in solidità di spalle, loro, possono battere Atlante e in pazienza superare copiosamente Giobbe!

Intanto, voleranno decenni, e la città di Andria continuerà a subire la mortificante offesa di vedersi divisa in due. Urbanisticamente, economicamente. Umanamente, poi, ad essere penalizzata sarà soprattutto quella paccottiglia, formata da anziani, ammalati, donne in gravidanza, bambini e… disabili.

Nell’attesa. Arrivederci alle prossime tragedie. Già, in dirittura d’arrivo.

Non resta che toccar ferro? O imparare a diventare cittadini a pieno titolo?

 


Fontetgcom24
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Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.