A cura e con Introduzione di Mario Castellana, Post-fazione di Fernando Zalamea

Ci sono figure del pensiero filosofico-scientifico del ‘900 considerate marginali e del tutto messe da parte per vari motivi, dovuti per lo più all’affermarsi di determinati punti di vista nei diversi saperi, ma che poi nella seconda metà del secolo, in seguito ad eventi significativi specialmente nel campo delle stesse scienze, si stanno rivelando non solo degne di essere conosciute più adeguatamente, ma portatrici di idee indispensabili per comprendere aspetti e problemi cruciali della contemporaneità; si segnala in tal senso un filosofo della scienza francese di origine ebraica Albert Lautman (1908-1944), morto combattendo nelle file della Resistenza, quasi del tutto sconosciuto in Italia, ma più noto all’estero dove l’Opera omnia è stata tradotta in quest’ultimo decennio in lingua spagnola ed inglese oltre ad essere oggetto di varie rivisitazioni critiche che ne stanno sottolineando l’originalità e la profondità. In Italia si ha disposizione solo una piccola antologia di scritti minori degli anni ’30 dal titolo La matematica come resistenza, (Roma, Ed. Castelvecchi 2017), a cura e con lunga Introduzione di Mario Castellana  e la Post-fazione di Fernando Zalamea, curatore di una recente riedizione critica dei suoi scritti e della loro traduzione in lingua spagnola.

Questi due studiosi, l’uno di formazione filosofica e l’altro matematico e filosofo della matematica, già autori di altri importanti scritti su tale figura, ne evidenziano i punti salienti, le convergenze e soprattutto le divergenze con quel filone  di studi epistemologici che venne ad affermarsi negli anni ’30, il neopositivismo logico che, grazie alla sua dimensione internazionale, è diventato in seguito la filosofia della scienza cosiddetta Standard; non a caso è stato dato questo titolo, La matematica come resistenza, proprio per spiegare le ragioni della diversa concezione delle discipline matematiche e della particolare lettura da parte del giovane Lautman dei risultati raggiunti in tale ambito, a partire dalla fine dell‘800 a quelli del primo Novecento, e soprattutto da parte dei giovani  Hermann Weyl, Kurt Gödel, Arend Heyting e Gerhard Gentzen che avevano già manifestato in quegli anni delle riserve nei confronti della visione analitico-formale che si stava affermando delle matematiche. Tutto il breve percorso e quindi incompiuto di Lautman, consegnatoci in tre opere edite e altre pubblicate postume, è caratterizzato da una resistenza teoretica verso una concezione della matematica ridotta a puro linguaggio e calcolo per affermarne una visionelato sensuumanistica; essa è infatti considerata, come ogni altra scienza,  ‘vero e proprio pensiero’, i cui contenuti non solo formali  sono frutto dello sforzo razionale dell’uomo in grado di cogliere, attraverso i propri processi di astrazione e di generalizzazione, le strutture profonde del reale, come sottolinea Mario Castellana nell’introduzione.

Ma tale idea forte della ‘scienza come pensiero’, che non trova eguali in altre tradizioni di pensiero, è il risultato a cui è pervenuto il dibattito  francese nel suo complesso  sulla struttura della scienza, a partire dalla seconda metà dell’800, e in minima parte anche italiano, grazie alla non comune analisi delle implicazioni filosofiche a largo raggio della cosiddetta ‘seconda rivoluzione scientifica’ dove le matematiche con l’avvento delle geometrie non euclidee insieme con le nuove teorie fisiche e biologiche hanno avuto un notevole ruolo propulsivo; tutto questo ha portato, sia pure  con inevitabili  contraddizioni, ad una ricca e non omogenea letteratura in senso già nettamente post-positivista, dove però il tratto in comune è proprio l’idea della’ scienza come pensiero’ dotata di contenuti teorici anche se su base storica da comprendere con nuovi strumenti concettuali. Mario Castellana ha evidenziato in particolar modo questo risultato, poco analizzato nella ricca letteratura sull’argomento,  nei suoi  diversi lavori, a partire dagli anni ’70, su altre figure anch’esse  non in linea col filone predominante in filosofia della scienza, come ad esempio Gaston Bachelard, Jean Cavaillès, Hélène Metzger, Maximilien Winter, Ferdinand Gonseth, Simone Weil, Gilles Châtelet e Jean Desanti ed il matematico ed epistemologo italiano Federigo Enriques; questi autori insieme a Lautman, poco noti in ambito filosofico, hanno rappresentato una vera e propria ‘resistenza’ contro le visioni riduttivistiche della scienza di ispirazione positivistica, hanno tracciato una via diversa nell’ambito degli studi in filosofia della scienza  con particolari binari di natura metodologico-concettuale sino a costituire una vera e propria tradizione di ricerca epistemologica, quella che lo stesso Castellana ha chiamato ‘epistemologia neo-razionalista italo-francofona’, oggi al centro dell’attenzione.

Non è dunque un caso se la figura di Albert Lautman, a cui Castellana dedicò un  saggio nel 1978 in seguito alla prima pubblicazione dei suoi scritti e poi uno studio più articolato all’interno delle vicende della filosofia della scienza degli anni’30, oggi da più parti viene ritenuta una figura imprescindibile per aver tracciato un percorso di vera e propria ‘epistemologia dei contenuti matematici’, come la chiama Jean Petitot, e fornito le basi di una loro netta visione sintetica e anti-analitica, ritenuta da Fernando Zalamea implicita nelle matematiche della seconda metà del ‘900; questo è avvenuto grazie al suo non comune approccio che Castellana chiama ‘storico-epistemologico-ermeneutico’ sulla scia di Petitot che non a caso ha parlato di un livello ‘lautmaniano integrale’ in filosofia della scienza per avere aperto un capitolo inedito in tale ambito di studi, dove verità, contenuti, storia ed ermeneutica sono intrecciati per comprendere la crescente complessità del pensiero matematico. Tale  fatto  ‘eroico-profetico’, come lo ha definito ultimamente  un altro studioso del suo pensiero Charles Alunni,  gli permise di comprendere molto tempo prima e anche degli stessi matematici la stessa direzione che il pensiero matematico stava prendendo e che prenderà in seguito, come lucidamente mise  in evidenza già nel 1977  Jean Dieudonné che lo aveva conosciuto, uno dei protagonisti di quella scuola di matematica, chiamata ‘Nicolas Bourbaki’, che si formò negli anni ’30; tale orientamento tra l’altro  venne meno proprio perché, come è stato sottolineato da più parti ed in particolar modo da Frédéric Patras, sottovalutò il ruolo della riflessione filosofica insieme con il cruciale tema sempre tenuto presente da Lautman, quello dei rapporti tra matematiche e reale, fra matematiche e fisica, tra matematiche e vita.

Come sottolinea Castellana, Lautman si è distinto nel denunciare con fermezza quello che chiamava ‘disimpegno filosofico’ da parte sia  di alcuni matematici che da parte degli stessi filosofi di professione, ritenuti ‘dimissionari’ dal loro compito di comprendere l’anima storica e teoretica delle matematiche e della scienza più in generale, basata sul fatto che esse, come le altre dimensioni dell’uomo e come del resto insegnavano i maestri Greci e Platone in particolar modo, sono espressione de l’esprit humain teso a comprendere le strutture del reale e le sue stesse strutture razionali; nello stesso tempo come pensiero, esse sono il laboratorio dove l’uomo si forgia i suoi strumenti concettuali e razionali e, attraverso la retta comprensione della loro storia che non è una semplice cronaca di scoperte, ma un processo vitale vero e proprio fatto di vittorie e sconfitte con inevitabili errori, perviene a prendere atto della pluralità dei punti di vista emersi, dei limiti delle sue  conoscenze, a non cadere vittima di illusioni e di dogmatismi vari. Di tale punto di vista i tre saggi tradotti sono espressione nello studiare, ad esempio, la ‘realtà inerente la matematica’, il rapporto ‘matematiche e realtà’ che se non tenuto presente e non insegnato nella prassi didattica, rende ‘granitico’, astorico e quasi inumano quello che è stato chiamato da un matematico, poco noto come Hermann Weyl che ebbe stretti rapporti non a caso con Einstein, ‘l’impero delle matematiche’.

Ma perché tale ‘impero’ perdi la sua presunta atemporalità e neutralità ed entri nel circuito della vita potenziandone contenuti e le stesse forze razionali sempre in balìa di insidie di diverso tipo, occorre un approccio filosofico di ampio respiro, da quello più di natura storico-cognitivo a quello antropologico, per Lautman che, come sottolinea Castellana, ha sempre sostenuto ed evidenziato nei suoi lavori ‘l’anima spirituale della scienza e delle matematiche’ in particolar modo; e se questo aspetto implicito nelle loro strutture concettuali, la riflessione filosofica non è in grado di esplicitare e se le scienze vengono lasciate sole in se stesse e svuotate dei loro contenuti ridotti al puro aspetto analitico e di calcolo, rischiano di perdere i contatti col reale con l’assumere inevitabilmente ‘atteggiamenti violenti’ con cui la vera ragione umana non ha niente in comune. Tale situazione  la stava vivendo sulla propria pelle il giovane filosofo francese che ha messo in pratica diverse modalità di resistenza, ricostruite  da Fernando Zalamea nella post-fazione, da quella epistemologica in difesa della vera scienza a quella politica; non a caso ha combattuto con le armi che aveva a disposizione  un regime che fece propria una visione neutrale e ideologica delle conoscenze scientifiche con l’utilizzare certe note  filosofie che le confinavano in ambiti puramente applicativi e senza senso per l’uomo, cosa che del resto ancora oggi viene avanzata da più parti e sotto altre e più sofisticate forme  e che un sano e più attrezzato percorso filosofico ha il compito non secondario di individuare e di smascherare.

Per questo l’approccio storico-epistemologico-ermeneutico delineato da Lautman è ritenuto indispensabile da Mario Castellana per una diversa didattica delle matematiche, dove l’elemento trainante è l’approccio storico in grado di farne comprendere le diverse articolazioni e, soprattutto, lo spessore umano come sforzo teso a rafforzare le nostre difese razionali e per superare nei fatti quella nefasta divaricazione tra cultura scientifica e cultura scientifica ancora presente nelle istituzioni scolastiche; e nello stesso tempo viene ribadito che tutto questo sta a significare che solo quando un sapere, una scienza ed in questo caso le matematiche arrivano ad acquisire la loro piena dimensione storico-concettuale, diventano cultura tout courted entrano di diritto nel pensiero umano più generale, il che spesso da parte degli stessi operatori, siano essi scienziati che docenti di scienze, viene sottovalutato.