Salvini, più che il nuovo che avanza, è il nuovo che è avanzato. Ci sarebbe da chiedersi dove passerà il week-end l’altra metà del Cambiamento…

Caro Direttore,

so che muori dalla voglia di conoscere i miei propositi, ma devo darti un piccolo dispiacere. No, oggi a Roma non ci sarò, mancherò l’appuntamento in piazza del Popolo con il primo Sabato dell’Era Leghista. Al di là della tua personale delusione, immagino che i miei lettori reagiranno con un bel “me ne frego!”, motto in sintonia con l’oggi. Non ci sarò, ma non troverete la mia foto accanto a quella degli illustri testimoni alla rovescia messi alla gogna per il giorno di Salvini. Non sono uomo della politica, non lo sono dello spettacolo e non partecipo alle civili discussioni del talk-show, sempre ricchi di sapere e di voci pacate. Cioè, insomma, non sono nessuno, ed è più che giusto che quel che faccio interessi soltanto ai miei cari e forse all’autista del bus che trasporterà folle oceaniche a Roma, anzi nemmeno a lui.

Epperò, Direttore e Amici lettori, io insisto a tediarvi con le ragioni della mia irrilevante assenza. Non mi piaciono le folle oceaniche, non mi piacciono le divise e neanche i gagliardetti. Ho avuto la fortuna di nascere quando il Carnevale fascista era finito, nel sangue putroppo, ma era finito, grazie a Dio. Ho letto libri, ho visto film, ho conosciuto testimoni di quei giorni infelici, sono un accanito lettore di scrittori ebrei, mi sono fatto un’idea abbastanza chiara di dove vanno a finire le folle straripanti. Quelle che, partendo da giuste rivendicazioni sociali, si affidano ai macabri riti del turpiloquio, quelle che usano la parola come un’arma di distruzione dell’altro e poi arrivano all’arma vera. L’avversario non deve esistere.

Non partecipo alla Pontida sotto il Cupolone, ma ho dei memoria dei cortei operai degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Quei cortei mi rassicuravano, perchè gli operai avevano ripreso voce con il ritorno della democrazia, perchè i braccianti si erano fatti classe dirigente. Non erano certo anime belle, non furono pacifisti, usarono anche maniere forti nei momenti di scontro. Ma i capi dei partiti e del sindacato mai li incitarono alla sedizione, neanche dopo l’attentato a Togliatti. Il durissimo scontro fra democristiani e sinistra nelle elezioni del 1948 non mise in discussione la democrazia appena conquistata. La Costituzione, scritta da cattolici, comunisti, socialisti e liberali, garantiva a tutti il diritto di cittadinanza, all’istruzione, al lavoro. Ecco perchè quei cortei a me piacevano: erano arrabbiati, ma non volevano distruggere lo Stato democratico.

Che c’entra, tutto questo, con il mio rifiuto all’oceano leghista di oggi?  C’entra, perchè la Padania trasferita a piazza del Popolo (povera piazza!) non mi rassicura, la sento eversiva. Domani correranno in soccorso del vincitore le folle sedotte dalla Bibbia di Salvini, ministro di Polizia e nemico giurato dei “negri”. Il folklore dei gagliardetti non nasconderà il disegno del capo leghista: chi non è con me, è contro di me. E chi è con lui è “contro” per principio e per definizione. Contro l’Europa, contro l’euro, contro il capo dello Stato, contro i giudici, contro gli imprenditori, contro gli operai, contro chi pensa con la propria testa, contro il futuro dei giovani, contro chiunque abbia dubbi sul Cambiamento (Tra parentesi, il Cambiamento di un politico che ha contribuito, sia pure dalla terza fila, alla crisi che adesso lamenta). Salvini, più che il nuovo che avanza, è il nuovo che è avanzato alla Prima Repubblica, chiedere a Bossi il senatur.

Ci vorrebbe un post-scriptum per domandare dove sarà la banda Di Maio-Casaleggio, mentre Salvini si annuncia come capo unico e supremo della falange. Ci sarebbe da chiedersi dove passerà il week-end l’altra metà del Cambiamento, che finora ha fatto solo “chiacchiere e tabacchier ‘e legn che l’Unione Europea nun impegn…“. È probabile che i grillini si godano lo spettacolo con qualche mal di pancia, che poi facciano le bizze sulla Fornero, cavallo di battaglia leghista, o che preparino il piatto freddo della vendetta, ma quale? A meno che, in un improbabile vampata di intelligenza politica, non si rendano conto che, dopo aver vinto le elezioni, si ritrovano a recitare la parte degli utili idioti per il Condottiero nero.

Caro Direttore, oggi sto a casa, in omaggio alla festa dell’Immacolata Concezione e mi prepararo al santo Natale, festa del Dio che nasce per dire agli uomini che sono tutti uguali, persino i “negri”.


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).