Diciamolo francamente: di morte, tra persone perbene, non si parla. Non è corretto. Non fa costume. Disturba. Imbarazza. Induce a fare scongiuri e “grattamenti” vari.
Perché della morte abbiamo paura e ad affrontarla, sia pure come mero esercizio intellettuale, non siamo mai pronti.
Perciò corriamo sempre, un po’ come Vecchioni canta nella sua Samarcanda, certi così di sfuggire al suo artiglio freddo. Salvo poi trovarcela, all’improvviso, di fronte. E farci cogliere sprovveduti.

La vita di Sabina non è stata così. Non ne scriviamo solo perché tanti di noi hanno avuto il dono di essere suoi amici. Ne scriviamo perché Sabina è stato esempio concreto di cosa significhi amare la vita e affrontare la morte come un momento tragico, ineludibile, atroce, ma di fronte al quale non abdicare.

Sabina era forte, intelligente, bella. Era stata capace di maturare ogni tappa al tempo giusto. La si può ricordare per le tante esperienze di volontariato al Cottolengo o nell’Unitalsi. Oppure come la brillante compagna di studi, la giovane avvocatessa, l’efficientissima collaboratrice amministrativa dell’ASL BAT. O anche come la figlia, sorella e amica che, con la sua socratica ironia e la forza delle sue idee, non dava scampo. O ancora come la moglie forte e la madre tenerissima di due bimbi di soli tre e cinque anni che lei stessa ha saputo preparare, incredibile a dirsi, al momento in cui non avrebbero più rivisto la loro mamma.

Sabina ha vissuto intensamente ed è morta con dignità. Morta di cancro: pronunciamo queste parole, liberiamoci dal tabù che ci fa credere alla pia illusione che sia sufficiente nascondersi negli eufemismi per sconfiggere il terrore. “È venuta a mancare” – “È venuta meno all’affetto dei suoi cari” – “È salita in cielo”. E poi: “Aveva il male del secolo” – “Aveva un male incurabile” e così via.

Sabina diceva: “Ho un cancro, la mia ora è giunta, voglio morire avendo pensato a tutto”.
E ricordandosi di tutti.

Per questo, un anno fa, non appena scoperta la sua malattia, prima ancora di iniziare la sua stessa terapia, ha voluto fondare un gruppo di donne affette, come lei, di cancro al seno: “Dobbiamo pensare agli altri, dobbiamo aiutare le altre”, diceva.

Ha voluto che si chiamassero “Le Amazzoni”, per ricordare loro che non si deve mai abbassare la guardia. Nelle loro riunioni, ogni ultimo venerdì del mese, desiderava si parlasse un po’ di gossip e non solo di malattia. Per le Amazzoni, Sabina era la quercia, l’albero che mai viene meno e che dà la vita.
Lo sarà ancora …
Chi volesse contattare le Amazzoni, può farlo inviando una mail a sabinasempreconnoi@gmail.com .

Allo stesso indirizzo può scrivere chiunque ha conosciuto Sabina e volesse condividerne con la famiglia un ricordo: dedicandole un pensiero, citando delle sue parole, mandandoci una foto.

Perché far vivere il ricordo di Sabina è anche imparare, come lei, a guardare negli occhi la morte e dirle: “Tu non mi priverai della mia umanità”.

Paolo Farina


 [Foto: Loconte fotografia]

 

 


6 COMMENTI

    • Una grande forza……come quella che ho rivisto nei suoi occhi il 24/07/14…………gli occhi di una grande mamma e una grande donna……ciao Sabina

      • Per quel poco che l’ho conosciuta, mi é sembrato che le venisse naturale offrire il proprio dolore per guarire i mali degli altri. Grazie Sabina.. Mgrazia

  1. È stato bello conoscerti… Sei stata simbolo di forza e coraggio. Per noi ricordarti sarà sempre attingere dalla fonte.

  2. …il suo sorriso, la dolcezza con cui si approcciava ai miei figli ancora bambini, i saggi consigli di madre anche se ancora non lo era diventata, le lunghe chiacchierate durante i camposcuola con la parrocchia, il suo saluto incoraggiante e sorridente anche se facevo fatica a riconoscerla per strada… questo per me è stata Sabina, un incontro casuale e un vivere intensamente sette giorni d’estate per alcuni anni importanti e decisivi della mia vita, di donna e di madre. Buon viaggio Sabina… Marinella

    • Ho conosciuto Sabina dopo i suoi studi universitari. Era orgogliosa del suo percorso e affascinata dal mondo lavorativo che le si apriva davanti. L’entusiasmo, si sa, è destinato a scemare. Nei suoi occhi, invece, si leggeva ancora la passione, la voglia di fare e quella di non smettere. Dopo mesi di malattia, la voglia di lottare e la determinazione che la contraddistingueva, le hanno permesso di accettare il suo destino, senza contrastarlo, deponendo le armi, i pensieri, i progetti, il fare. E in cambio ha ottenuto che fosse lei stessa a portarlo per mano, Non conosco quel dolore, ma Sabina sì, Sabina lo conosce. Ha passato lunghi mesi, cercando di abituarsi alla sua vita che cambiava. Così facendo, ci ha lasciato pieni dei suoi sorrisi e della sua tenacia, ,come solo i guerrieri sanno fare, come solo un’Amazzone sa fare.

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