“Visioni” presenta “Lingua Matrigna” da l’Analfabeta Agota Kristof, progetto e regia di Mariella Anaclerio.

Martedì 6 Marzo 2018 – ore 20:30 con sipario ore 21:00

Ingresso gratuito con obbligo di prenotazione al 320 47 99 462

presso l’auditorium Mons. Di Donna in Via Saliceti – Andria

È la storia di una bambina poi ragazza e poi donna, costretta ad abbandonare la sua terra natale insieme al marito e figlia neonata, quando l’Armata rossa interviene in Ungheria per sedare le rivolte popolari per rifugiarsi in Svizzera.

Una rassegna voluta per parlare di cultura dell’accoglienza e non solo di migrazioni.

Un ‘investimento’ nell’ambito della cultura, da parte della Comunità “Migrantesliberi”, con la collaborazione della Casa di Accoglienza “S. Maria Goretti” della Diocesi di Andria, per lo sviluppo di una coscienza comune, riflessiva, spirituale e civile perché come amava affermare don Milani, il priore di Barbiana: «La povertà…non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale. La distinzione in classi sociali non si può dunque fare sull’imponibile catastale, ma su valori culturali».

Visioni di una società piena di conflitti per la rivendicazione dei diritti, delle differenze umane, delle etnie in minoranza, delle diversità dei popoli, delle persone bisognose, delle periferie emarginate, dei minori abusati, delle folle maltrattate e vendute per pochi denari.

Visioni di una società carica di conflitti, che reclama diritti, da parte di gente corretta e perbene, che ancora crede nei valori della vita, del rispetto, della condivisione.

Visioni di una società che la Comunità conosce molto bene, perché impegnata da anni a costruire una cultura sociale, solidale umana e inclusiva.

Visioni, che dovrebbero interessare tuti indistintamente, con lo scopo di crescere nell’incontro con tutto ciò che si mostra “altro da noi” per vivere saggiamente conflitti e diritti.

Sinossi spettacolo ” Lingua Matrigna” da l’Analfabeta Agota Kristof:

Agota Kristof è nata in Ungheria nel 1935. Il padre è un insegnante, l’unico insegnante del suo piccolo paese. A 14 anni entra in collegio. Nel 1956 lascia clandestinamente l’Ungheria. È la storia di una bambina poi ragazza e poi donna, costretta ad abbandonare la sua terra natale insieme al marito e figlia neonata, quando l’Armata rossa interviene in Ungheria per sedare le rivolte popolari per rifugiarsi in Svizzera. Sfida il freddo, la povertà, la sofferenza, la fame, la solitudine e la mancanza di qualcosa che in una situazione come quella dell’autrice, potrebbe essere considerata secondaria, invece non lo è affatto: la conoscenza della lingua. Con la perdita della Madre Patria, si diventa orfani della Madre Lingua.

La Nostra Analfabeta, oramai premio Nobel, parla al pubblico per ricordarsi quanta strada ha percorso prima di avere la gratificazione di vedere le proprie opere tradotte da altri in tutto il mondo. Per ricordare ed incoraggiare quanti come lei, orfani di Terra e di Lingua devono ricominciare in età adulta con l’alfabeto della Lingua Matrigna. Come sopravvivere senza disintegrarsi ma integrandosi? Ed proprio lo Scrivere che, in esilio, diventa il suo mezzo per navigare nelle acque sconosciute di una nuova cultura, il suo modo per sopportare gli anni tanto odiati, quelli in una fabbrica di orologi dove sente soltanto il ritmo delle macchine e a quel ritmo deve adeguarsi. E decide di farlo proprio nella lingua francese, che così tanto prima aveva detestato: leggere e scrivere è, per lei, “una malattia”, un bisogno impellente. “ questa lingua, il francese, non l’ho scelta io. Mi è stata imposta dal caso, dalle circostanze. So che non riuscirò mai a scrivere come scrivono gli scrittori francesi di nascita. Ma scriverò come meglio potrò. È una sfida. La sfida di un Analfabeta.”


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So che tutto ha un senso. Nulla succede per caso. Tutto è dono. L'umanità è meravigliosa ne sono profondamente innamorato. Ciò che mi spaventa e mi scandalizza, non è la debolezza umana, i suoi limiti o i suoi peccati, ma la disumanità. Quando l'essere umano diventa disumano non è capace di provare pietà, compassione, condivisione, solidarietà.... diventa indifferente e l'indifferenza è un mostro che annienta tutto e tutti. Sono solo un uomo preso tra gli uomini, un sacerdote. Cerco di vivere per ridare dignità e giustizia a me stesso e ai miei fratelli, non importa quale sia il colore della loro pelle, la loro fede, la loro cultura. Credo fortemente che non si dia pace senza giustizia, ma anche che non c'è verità se non nell'amore: ed è questa la mia speranza.