
«Sventurati senza scampo, sentiamo di esserci cacciati, volenti o nolenti, nel labirinto dell’assurdo, da cui non usciremo che morti»
(Albert Caraco)
Non aspettava coincidenze
di treni dormienti che
avevano perso la
partenza dell’alba,
né cercava strumenti tecnologici
che racchiudevano facce vere
di vite edulcorate;
non desiderava
la precisione degli strumenti medici
in attesa di fianco ai lettini operatori,
né gli elenchi rovinosi
del sapere profondo che arrecava
consapevolezza e troppo peso.
Voleva il giallo dei girasoli di Van Gogh,
l’amaranto della parete
che ospitava un dipinto del Salvatore
in un teatro,
il colore del cemento
e dell’asfalto delle strade di città:
tutto per lasciarsi alle spalle
il timore che l’Amore
fosse racchiuso in oggetti profani
ai mercatini dell’usato.
Vagava nei labirinti,
la notte per amica,
cercava la parola
in giro per capanni,
scrutando pergolati:
una parola nuova,
soddisfacente,
valida,
solida,
che nessuna lingua
aveva ancora coniato.