In ricordo di Michele Matarrese, rivoluziario mite
Chi è in carrozzina, perché impedito nella sua autonomia di deambulare, spesso ha mille motivi per rivendicare diritti e reclamare attenzioni. Per Michele Matarrese la carrozzina è stata soltanto un mezzo per raggiungere i “Dannati della terra”: coloro che non hanno “Santi in Paradiso” a cui inviare una preghiera, affinché la vita, almeno per qualche momento, si riveli più benevola.
Esponente storico del volontariato andriese e presidente del gruppo C.O.N. (Condividere Ogni Necessità), con la sua carrozzina lo si incontrava anche sulle scalinate più inaccessibili, per bussare alle porte di amministratori pubblici e non, a favore dei poveri e dei diversamente abili, a cui aveva dedicato la sua vita.
Michele Matarrese, dopo un lungo calvario, è tornato alla “Casa del Padre”, ma la sua eredità di “credente” operante nel volontariato è grandissima: per il cristiano il volontariato non è un impegno straordinario, un’esperienza tra le tante che si fanno nella vita, seppur meritoria perché altruista e ispirata a valori umanitari; per il cristiano l’essere volontari è una declinazione autentica della vita di fede.
La missione propria del volontariato è da sempre quella di veicolare e ravvivare nella società la pratica – quindi non solo la cultura – del dono e della gratuità, soprattutto in quei contesti caratterizzati da relazioni umane sfilacciate. Purtroppo, l’era della globalizzazione ha cercato di emarginare queste logiche sulla base della convinzione che basterebbero buone leggi ben applicate, e un mercato ben articolato, per ottenere una società più giusta. Nessuno fa la guerra ai volontari, sia chiaro, ma è altrettanto vero che il “vitello d’oro” della società è diventato un altro: l’efficienza. Oggi tutto ciò che non è efficiente non è stimato, e il volontariato rischia di essere ritenuto un’attività che si può permettere solo chi sta bene e non ha problemi economici. Ecco, per Michele non è stato così: la sua vita e il suo impegno sono la migliore smentita di ogni retorica perbenista.
E Michele non è stato solo. Con lui, tanti hanno testimoniato che il mondo del volontariato ha radici profonde, perché non nasce da un momentaneo ed esuberante sentimento di pietà o da un semplice imperativo morale, ma dal conoscere, riflettere e, contestualmente, mettersi al servizio, come risposta credibile e immediata agli appelli della gente, secondo il comandamento della gratuità.
Ma il Volontario è anche un “nobile rivoluzionario” che rifiuta la violenza, anche quella verbale; rivoluzionario è dire a chi cerca di corromperti: “No, grazie!” Rivoluzionario è l’approfondimento contro la superficialità; rivoluzionario è insegnare il rispetto di tutte le diversità, l’accoglienza, la compassione, la fratellanza, la capacità e la volontà di provare a condividere il dolore degli altri; rivoluzionario è combattere il pregiudizio; rivoluzionaria è la ricerca della bellezza; rivoluzionario è spegnere il televisore e dedicarsi ai propri cari, coltivare delle passioni, continuare a giocare; rivoluzionari sono il sorriso, la gentilezza, l’umiltà, il saper ridere di noi stessi e delle nostre miserie; rivoluzionaria è la semplicità… perché la storia dell’emarginazione e dello sfruttamento dei poveri non si ripeta con la complicità e il silenzio delle persone oneste. In questa prospettiva il volontariato ha un ruolo profetico e formativo ineludibile. Diventa scuola di speranza, fucina di integrazione e di cambiamento sociale, tirocinio di cittadinanza attiva, scuola di solidarietà e fratellanza nell’affiancamento degli “ultimi”, presidio della pace sociale, anticipazione esperienziale del mondo giusto che l’umanità sogna da millenni. Ecco perché mi pare di poter definire Michele Matarrese un rivoluzionario mito, che ha amato tanto e da tanti è stato amato.
Il gran Mufti di Bosnia, Mustafà Ceric, commentando l’enciclica “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, diceva:“L’Occidente deve passare per una rivoluzione spirituale; l’attuale collasso economico non è una questione di crisi finanziaria, è una questione di crisi morale. Credo che l’Occidente sia colpevole di sette grandi peccati: benessere senza lavoro, educazione senza morale, affari senza etica, piacere senza coscienza, politica senza principi, scienza senza responsabilità, società senza famiglia”. Forse si potrebbe aggiungerne: fede senza sacrificio. Qui si aprirebbero ampi scenari per un volontariato critico ma profondo, avendo alle spalle la storia di tanti che, proprio come Michele, anche in carrozzina hanno saputo indicare fattivamente la strada perché la terra sia abitabile non solo dai furbi di turno, ma soprattutto dai “miti”.