Stessa radice ma sfumature diverse per due termini fra i più usati nel nostro linguaggio, e forse mai indagati fino in fondo

La vera traduzione è trasparente,

non copre l’originale, non gli fa ombra,

ma lascia cadere tanto più interamente sull’originale,

la luce della pura lingua.

(Walter Benjamin)

La riflessione di questa settimana verte su un binomio, su due parole apparentemente simili per la stessa radice da cui derivano, ma che hanno anche elementi di differenza. Sono però due parole “comunicanti”, cioè l’una può richiamare l’altra, l’una può invitare a gettare lo sguardo sull’altra per essere compresa meglio.

In altri termini, queste due parole, pur avendo sullo sfondo elementi comuni, presentano delle sfumature diverse che non si escludono tra loro ma si integrano e – perché no – si completano.

Traduzioni e tradizioni. Lingua e cultura.

Il primo termine “traduzione” deriva dal latino traducere, che significa far passare qualcosa da un luogo a un altro. Idealmente possiamo dire che tradurre è quasi far cambiare luogo alle parole, spostandole da una nazione a un’altra.

Ecco perché la traduzione ha a che fare con la lingua, sistema di simboli (anzitutto fonici, secondariamente anche grafici) per mezzo dei quali gli esseri umani elaborano e comunicano il loro pensiero.

Il secondo termine “tradizione” deriva dal latino tradere, che significa trasmettere, consegnare fatti, parole e leggende da un’età ad un’altra attraverso forme orali o scritte.

La tradizione ha a che fare invece con la cultura, insieme di tradizioni, fatti, parole che sono alla base di un popolo e che lo riportano nel loro Sitz in Leben, cioè nel loro contesto vitale.

Questi due termini – come già accennato all’inizio –sono comunicanti: infatti, ogni traduzione avviene e si inserisce in una tradizione e ogni tradizione passa ed è comunicata attraverso una traduzione.

Allora, la lingua, materia prima di ogni traduzione, e la cultura sono entità mobili e dinamiche in continuo dialogo fra loro.

L’autore tedesco da cui è tratta la citazione iniziale parla di traduzione come “sopravvivenza” dell’originale e come espressione del rapporto più intimo tra le lingue, la cui affinità non consiste tanto in una somiglianza, quanto nella condivisione di qualcosa accessibile soltanto alla totalità delle loro intenzioni, cioè in quella che lui definisce la “pura lingua”.

Per rendere più chiaro il suo concetto, egli riporta una metafora che recita così:

“Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi riunire e ricomporre devono susseguirsi nei minimi dettagli, ma non perciò somigliarsi, così invece di assimilarsi al significato dell’originale, la traduzione deve amorosamente, e fin nei minimi dettagli, ricreare nella propria lingua il suo modo di intendere, per fare apparire così entrambe – come i cocci frammenti di uno stesso vaso – frammenti di una lingua più grande”.

Il vanto maggiore per una traduzione, secondo la prospettiva dello studioso tedesco, non è dunque quello di “leggersi come un originale della sua lingua”, piuttosto quello di non coprire l’originale, non fargli ombra, ma lasciare cadere su di essa la luce di quella che lui considera la lingua della verità, la pura lingua nascosta in ogni traduzione.

Ma come si sa il più delle volte tradurre è tradire. Tradire la bellezza che la lingua originale racchiude in sé, tradire le parole che in un altro contesto vitale sono intese in un altro modo.

Cervantes era convinto che ogni traduzione fosse come il rovescio di un arazzo: i colori impallidiscono, la trama si confonde, il tessuto sembra sfilacciato. Così tradurre, che ha alla base il verbo latino ducere può essere un condurre, cioè un traghettare da un testo all’altro, ma può anche indurre e produrre nuovi sensi, può introdurre elementi estrinseci e alla fine sedurre, cioè ingannare.

Ma è anche vero, d’altro canto, che ogni traduzione è tradizione.

La traduzione non avviene mai in un vacuum, bensì in un continuum; non è un atto isolato, ma parte di un processo dinamico.

Molte spesso quando si parla di tradizione si guarda al passato, a ciò che era ieri e solo ieri. Invece, se tradizione è trasmissione, essa comprende passato, presente e futuro. E sì, il passato che non c’è più e che non può più tornare, ma è anche presente che si sta sviluppando e futuro che si andrà via via formando.

Tradizione è allo stesso tempo memoria e innovazione, conservare e arricchire, trovare e cercare ancora.

Questo binomio, infine, dà la possibilità di scorgere che tutte le parole, pronunciate o che ancora non sono sulle labbra dell’uomo, sono frutto di una tradizione, cioè processo e luogo in cui l’uomo è inserito e vive, ma sono anche frutto di una traduzione, cioè fanno intravvedere dal di fuori ciò che l’uomo ha dentro.