Quei tredici minuti di straordinaria magia

È storia di ieri, un passato recente che profuma ancora di trionfo nell’inchiostro di quel giornale che colleziono, feticcio gelosamente custodito, lontano da mano incaute. Perché Tokyo 2020 è stata la nostra Olimpiade, forse il punto più alto mai raggiunto dai nostri atleti. Certo, ci sono state edizioni memorabili con tanti ori conquistati, ma mai l’Italia aveva totalizzato quaranta podi, ma soprattutto mai avevamo vinto nella gara simbolo, i 100 metri. Il duo Jacobs-Tamberi ci regalò i tredici minuti più pazzi e strabilianti della nostra storia olimpica, due ori dal forte significato sportivo che ci portarono su vette che mai avremmo pensato di raggiungere, nemmeno nei sogni più belli.

Ma è giusto riavvolgere il nastro e tornare alla solita narrazione ordinata e analitica di un’edizione segnata da una pandemia inattesa.

Tokyo si aggiudicò l’assegnazione superando la concorrenza di Istanbul che aveva sconfitto allo spareggio Madrid, ancora alla ricerca della sua prima Olimpiade.

Il 24 marzo 2020, nel bel mezzo della pandemia di COVID-19, il CIO dovette alzare bandiera bianca e rinviare per l’estate del 2021 i Giochi Olimpici, che mantennero la dicitura di Tokyo 2020 per ragioni di marketing. Non si ricorse quindi ad una cancellazione come era avvenuto nelle edizioni del 1916, 1940 e 1944.

Come un po’ tutte le competizioni sportive svoltesi nell’era coronavirus, fu un evento a porte chiuse, con il solo supporto della copertura televisiva.

Tokyo ospitava la sua seconda Olimpiade, dopo quella del 1964, dove l’ultimo tedoforo era stato un figlio della speranza e dell’orgoglio di un paese ferito, Yoshinori Sakai, nato a Hiroshima il giorno dello scoppio della bomba atomica. A Tokyo 2020 fu Naomi Osaka, tennista di alto livello, a riunire il mondo nel fuoco del tripode dopo un anno e mezzo di quarantene e mascherine, un segno di speranza dopo la paura, l’angoscia e la morte. I Giochi erano la testimonianza della resistenza e della voglia di non arrendersi a un nemico tanto subdolo quanto letale.

Torniamo alle gare e a quei tredici minuti leggendari di una serata di inizio agosto.

Lamont Marcell Jacobs, nato a El Paso in Texas, fu il primo italiano a raggiungere una finale dei 100 metri. Questa fu già un’impresa. Ma Marcello, come ama chiamarlo il telecronista RAI Franco Bragagna, aveva nelle gambe il tempo per stupire il mondo e per imporsi come il successore di sua maestà Usain Bolt. Nello stupore generale arrivò primo al traguardo davanti all’americano Kerley e al canadese De Grasse con 9”80, primato italiano e record europeo.

Mai un italiano aveva vinto una finale dei 100 metri.

Gianmarco Tamberi era in credito con la sorte. Aveva saltato Rio de Janeiro per un infortunio durante il meeting di Montecarlo. Sulla pedana del salto in alto si era portato il gesso a gambaletto, come a ricordare a sé stesso il dolore, ancor prima psicologico, per quel sogno infranto da una lesione al legamento deltoideo. Quel talismano così strano gli diede la forza di saltare fino a 2,37, la stessa misura di Mutaz Essa Barshim, suo grande amico e rivale. I due scelsero di non sfidarsi per il salto decisivo e condivisero l’oro, un gesto di profonda signorilità e di amicizia.

Non fu una rassegna a cinque cerchi da ricordare per gli americani nell’atletica, dove vinsero solo sette titoli. Sui 200 metri gli americani furono beffati da De Grasse, il canadese che era stato terzo nei cento e che riportò un oro nella velocità al Canada dai tempi di Atlanta 1996 di Donovan Bailey e sulla stessa distanza dopo novantadue anni. A Tokyo nacque una stella destinata a brillare negli anni successivi: Armand Duplantis. Lo svedese d’America diede un saggio di quello che avrebbe fatto vedere vincendo il salto con l’asta con 6,02 davanti a Chris Nilsen e al campione di Rio Thiago Braz. Elaine Thompson-Herah dominò le gare veloci al femminile (100, 200 e 4×100), mentre l’olandese Sifan Hassan fece la doppietta 5000-10000 metri.

Altro scandivano, altro ricambio generazionale con Jakob Ingebrigtsen che vinse i 1500 m, ma fu senza dubbio la nostra edizione.

I pugliesi Stano al maschile e Palmisano al femminile vinsero le rispettive gare di marcia 20 km. E poi ci fu la staffetta 4×100 maschile composta da Jacobs, Desalu, Patta e Tortu che vinsero la gara davanti a Canada e Cina. Eravamo nell’Olimpo dell’atletica!

Nel nuoto i protagonisti furono al maschile Caeleb Remel Dressel e la grande Katy Ledecky, mentre la Titmus e la McKeown aiutarono a portare l’Australia a nove ori, secondi nel medagliere del nuoto, dietro agli USA. Per l’Italia “Super Greg” Paltrinieri portò in dote un argento negli 800 e un bronzo nelle acque libere della 10 km.

Tokyo consacrò nella pallanuoto la Serbia dell’allenatore Savić, al suo secondo oro consecutivo. Nel calcio il Brasile bissò il successo del 2016, mentre va segnalato al femminile l’oro del Canada. Nella pallacanestro, dove esordì la specialità 3×3 vinta dalla Lettonia, fu ancora USA, mentre il torneo di pallavolo, che vide trionfare la Francia, fu segnato dall’eliminazione degli Azzurri contro l’Argentina che portò alla rivoluzione guidata da De Giorgi che ringiovanì la nostra nazionale e portò i successi che conosciamo. Anche la nazionale di pallavolo femminile, giunta con tante ambizioni finì tra le polemiche, schiantata dalla Serbia ai quarti.

La nostra Olimpiade fu certamente da ricordare.

Oltre ai cinque ori giunti dall’atletica, l’Italia conquistò altrettanti massimi allori. La coppia Caterina Banti e Ruggero Tita vinsero nella vela, mentre Vito dell’Aquila primeggiò nel Taekwondo nella categoria 58 kg. D’oro furono i remi di Federica Cesarini e Valentina Todini nel canottaggio e le pedalate di Consonni, Lamon, Milan e Filippo “Top” Ganna che  fulminarono la Danimarca sul filo di lana nella prova dell’inseguimento a squadre su pista. Nella terra del karate Luigi Busà salì sul podio più alto nella categoria 75 kg. Tra gli argenti vinti vanno ricordati quelli nella staffetta 4×100 sl nel nuoto, del foggiano Luigi Samele nella scherma e di Mauro Nespoli nel tiro con l’arco.

Elia Viviani andò ancora a medaglia, bronzo, nell’omnium e Simona Quadarella finì terza negli 800 m sl.

Con dieci ori, dieci argenti e venti bronzi l’Italia si piazzò decima nel medagliere, vinto ancora una volta dagli Stati Uniti, davanti alla Cina e ai padroni di casa.

Parigi 2024 è il presente che si consegna pian piano alla storia nell’incedere delle gare e dei titoli che vengono assegnati. Presto andrà agli archivi e sarà il momento del ricordo. Ma godiamoci ancora questi giorni di gare e di grandi emozioni che chiuderà questa nostra lunga ed entusiasmante maratona, nel ricordo dei grandi e immortali atleti che hanno fatto la storia di questa manifestazione.