Il contributo di Franco Cambi e Franca Pinto Minerva
Sono tante e inedite le sfide che attorniano oggi la nostra esistenza da imporre nuovi ruoli alle continue difese razionali che mettiamo in essere per far fronte alla contemporaneità; e ritorna ad essere la ‘miglior merce’, per usare un’espressione di Primo Levi (La ‘miglior merce’, 20 marzo 2020) quella ‘modesta Musa’ che è la pedagogia nell’aiutarci a vivere nel tempo della complessità con maggiore consapevolezza col dare una suo specifico contributo alla costruzione di una ‘nuova Paideia’, come la chiama Mauro Ceruti, diventata una necessità sempre più a livello globale. Da diverse parti, tra quelle sentite sempre più cogenti per la sua crucialità già a partire da Romano Guardini negli anni ’60 col parlare di un nuovo ‘umanesimo tecnologico’, c’è, infatti, l’esigenza di governare con strumenti appropriati la nostra era dominata dalla tecnica; e per esserne all’altezza, un primo passo consiste nel comprenderla nella sua specificità come ha fatto Gilbert Simondon, figura oggetto di crescente interesse in questi ultimi tempi per aver messo in piedi in modo organico una vera e propria filosofia della tecnica. Essa, pertanto, non va demonizzata in quanto frutto dell’attività umana e per orientarla verso l’umano, occorre entrare sempre più nelle sue pieghe nascoste, verificarne la portata e vedere cosa essa ‘vuole‘ a dirla con Kevin Kelly che, in Quello che vuole la tecnologia, ha chiamato la nostra era, ‘l’età del Technium’ , dove ‘ciò che è natura, il nato e tutto ciò che è costruito dall’uomo, il prodotto stanno diventando una cosa sola’ e dove si trasferisce ‘la logica del bios alle macchine e la logica di techne nella nostra vita’. Si è messo in moto un ‘sistema di processi intrecciati’ che porta spesso a dei ‘processi ormai senza controllo’ da parte nostra, ad una visione da ‘soluzione finale’ del totus technologicus che coinvolge l’uomo ed il suo destino; e siamo invitati, pertanto, come prima strategia da adottare col prenderla più che mai in seria considerazione, a chiederci che tipo di “umano” si ha in mente di “progettare” come intera collettività. Per questo si rende necessario mettere in atto un non facile percorso di natura educativa ad ogni livello coll’assegnare un ruolo-chiave alla formazione come indicano, alla luce delle acquisizioni del pensiero complesso, due pedagogisti di lungo corso Franco Cambi e Franca Pinto Minerva, nel volume Governare l’età della tecnica. Il ruolo chiave della formazione (Milano-Udine, Mimesis 2023).
Non a caso nel volume si parte da una accurata analisi della “crescita esponenziale dell’uso dell’intelligenza artificiale in relazione sia alla natura sia all’uomo stesso (ormai sempre più post-umano)”, dove le diverse tecnologie si stanno piegando al “paradigma dell’ibridazione” con creare una forte “discontinuità” nella nostra vita e nel pianeta dovuta allo sviluppo dell’”ibrido bio-artificiale” ; questa metamorfosi non va lasciata a se stessa e necessita sempre più di essere governata e gestita perché è il frutto dell’Homo sapiens sapiens, che è un instancabile “ente sperimentatore, operativo e cangiante in quanto creatore di macchine, di virtualità”. E per tali motivazioni, occorre superare gli ostacoli epistemologici, nel senso di Gaston Bachelard, che si frappongono nel capire questa specifica dimensione umana, e pertanto ed in primis “occorre impegnarsi ad accogliere ‘culturalmente’ e ‘pedagogicamente’ tale divenire umano con una adeguata attrezzatura di strumenti cognitivi e disponibilità emotiva”, che solo un faticoso processo educativo è più in grado di fare metabolizzare nelle diverse articolazioni.
Del resto, sin dall’antichità nei confronti di ogni strumento tecnico che siamo riusciti a costruire con le nostre mani, è emerso il problema di come farvi fronte e non a caso nel mito di Prometeo, pensato dai Maestri Greci per individuare tale peculiare aspetto, si mettono gli uomini nelle condizioni di poter usufruire del dono del fuoco, ma nello stesso tempo del nomos per governarlo e per non esserne alla mercè; per questo si impone di capire e gestire la nuova “condizione post-umana “ che ci stiamo creando anche perché si ritiene impellente “interrogarci sull’Homo sapiens sapiens e sul suo destino attuale” in quanto per la prima volta nella storia dell’umanità, come ci ha insegnato Michel Serres, le sorti del mondo dipenderanno dalle nostre scelte. Governare la tecnica è un costante invito a mettere in campo “schemi di pensiero, di sapere e di autorappresentazione alternativi a quelli dominanti” che possono aiutarci a sostenere il peso della “produzione di senso del processo morfogenetico ormai in atto”; non è dunque un caso se il post-umano viene ritenuto portatore di una visione decostruttiva del concetto tradizionale di umano per far posto ad un “umanesimo decentrato, aperto al fuori, in relazione creativa con le alterità tutte della Terra” sulla scia di Lovelock, che ha introdotto non a caso il termine Novacene per indicare tale periodo di transizione dove “uomini e macchine viventi sono indissolubilmente congiunti”. Per questo è necessario lavorare a comprendere che “il post-umano non va contrapposto all’umano” ed in tal modo non si mette da parte l’umanesimo, ma urge l’obbligo di ripensarlo come una “mescolanza con altre forme di vita in prospettiva di un possibile ‘umanesimo planetario’” nel senso indicato da Mauro Ceruti.
Per questo Cambi e Minerva Pinto sono dell’avviso che occorra mettere in atto diverse strategie per “ri-pensare la tecnica” e con essa i nostri futuri percorsi; e a tal fine un primo ed indispensabile passo è ritenuto “quello di entrare dentro la Tecnica e la sua forma di pensiero per delinearne limiti o scarti, per leggerne esaltazioni ideologiche, per comprenderne le strutture costitutive e tra pro e contra”, grazie ai contributi di diversi filoni del pensiero filosofico e scientifico che, soprattutto, nel corso di questi ultimi decenni ci stanno donando dei veri e propri percorsi di razionalità agapica più in grado di renderci autoconsapevoli sia dei rischi che dei possibili rimedi. Essi, infatti, permettono di irrobustire le nostre difese razionali per meglio “attivare un po’ quel ‘terzo occhio’ caro a Platone che fa metacognizione e sguardo-da-lontano”, di sottoporre la Techne alla stessa ‘logica del sospetto’ sulla scia di Paul Ricoeur. Una seconda strategia è quella che viene chiamata dell’aut aut più in grado di farci prendere atto dei pro e dei contra: la tecnica è sì “un bene prezioso ma che ha dei costi” per l’uomo ma la sua potenza lo rende “sempre più a-una-dimensione” senza fargli prendere coscienza della “prigionia in cui viene immerso”. E l’impegno pedagogico deve mirare a rendere la logica dell’aut autuno strumento di pensiero per “far-vivere l’aut aut e nei soggetti e nelle comunità” con urgenza per meglio far capire potenzialità, limiti e rischi delle ‘soluzioni finali’ di impronta tecnicistica; e tale ottica è ritenuta la base per “attivare un controllo diffuso” della tecnica, per abitarne criticamente lo straordinario sviluppo dove diventa sempre più indispensabile quella tensione umana che deve mirare, sulla scia di Y. N. Harari, a non farsi soffocare da essa che “va inquietata con domande radicali, muovendo dall’uomo e dai suoi bisogni vitali”.
Sulla scia di Morin, per far fronte alle potenzialità e ai connessi rischi di “tale avvento neoantropologico”, è ritenuto importante educare ad “una mente critica, aperta e mobile” per ‘abitare,’ proprio nel senso di Simone Weil, “davvero e umanamente il tempo-della-tecnica”; con tale ottica critica, si fanno debitamente i conti col Post-human che “è già tra noi” con le sue diverse sfide senza cadere nella “sua Ideologia… più totalizzante che sta di fronte a noi: il Transumanesimo”, governato da “algoritmi che fanno Regola e Destino” dove viene a profilarsi un “Mondo Organico e sicuro di sé e senza Opposizioni” (Temi e problemi del Transumanesimo, 15 ottobre 2020). Per tali motivazioni di ordine insieme cognitivo ed esistenziale ritorna ad essere basilare il “ruolo-chiave della pedagogia col farsi tutrice e regola di un approccio critico-dialettico alla civiltà della tecnica che ci sta invadendo e controllando e cambiandoci proprio nel DNA”; essa raison pedagogica, nel senso francese del termine nel senso che coniuga insieme razionalità ed impegno concreto, è chiamata, come spesso ha sottolineato Edgar Morin sulla scia di alcuni suoi ‘filosofi’ come Gaston Bachelard e lo stesso Gilbert Simondon (Come ‘svegliarci’ grazie al fare nostri ‘i miei filosofi’ di Edgar Morin, 29 dicembre 2022) a fornire con urgenza gli strumenti per “il Governo della tecnica” e per “la Salvezza della specie Homo sapiens sapiens” col preciso compito di “ricongiungere Tecnica e Anthropos” e di costruire un percorso agapico aperto alle diverse forme di vita presenti nel mondo.
In tal modo, la pedagogia, nell’essere quell’umile e ‘modesta Musa’, per Cambi e Pinto Minerva si carica dei complessi problemi emersi nel “tempo delle tecno-scienze” dove “le tecnologie più avanzate dalla robotica al virtuale, all’intelligenza artificiale al cyborg” portano ad “un reale che cambierà l’uomo e la società informa appunto radicale” e “a dirigere la danza della storia umana”; ed in tale processo dove è in ballo “il futuro da scegliere” col connesso “tema epocale: Tecnica e/o Ecologia”, essa insieme alle scienze e alle avarie filosofie è chiamata in primis a realizzare un “Compito Epocale”, un “cammino assai complesso e forse anche arduo” nel “riconoscere le ibridazioni, ma ad esse porre argine ( e critico e operativo)”, tutelare l’Anthropos e “indicarci la strada” sotto “l’egida di una politica planetaria” nell’agire nelle “coscienze più illuminate”. Inoltre, in un momento in cui l’evoluzione tecnologica sta modificando sempre più in profondità il nostro modo di essere, per “l’interconnessione tra dimensioni corporee, cognitive ed emotive” e sotto la spinta del post-umano, gli autori hanno sentito il bisogno di “rivedere e riscrivere l’oggetto complesso della teorizzazione pedagogica”, dove primario è l’obiettivo di “ricomporre la storia delle molteplici forme di vita” e di “ripensare il concetto di vita” nella sua totalità insieme a quello di formazione che deve prendere in debito conto le “identità in transito” con entrare decisamente “nell’orizzonte delle mutazioni” dove i soggetti sono “erratici, polimorfi e cangianti.
Cambi e Pinto Minerva ritengono necessario lavorare ad “una ecopedagogia della complessità” nel ridefinire l’umano, in grado di elaborare “nuovi linguaggi e nuove relazioni etiche” grazie allo sperimentare “una soggettività estesa, plurale e planetaria” col ricordare sulla scia di Mauro Ceruti, che ‘il problema della conoscenza è nel cuore stesso della vita’; l’ecopedagogia, nel coniugare ecologia e complessità in un unicum per arrivare alla sostenibilità e alla convivenza planetaria, si mette “al servizio del Sapiens” e porta con sé il dono di una “democrazia planetaria” a cui deve tendere la ‘nuova Paideia’. Ed il mondo della scuola in tale contesto viene chiamato a “ripensare profondamente il suo ruolo nella direzione di un potenziamento delle funzioni di raccordo culturale, di organizzatore di esperienze, di fucina di conoscenze e competenze”; nella “scuola a cielo aperto” e “luogo del Noi” devono convivere più saperi, “saperi diffusi in grado di mobilitare l’esercizio del pensiero critico, per mettere in crisi verità dogmatiche” fattori che sono l’anticamera per formare “soggetti attivi, protagonisti della costruzione di un ‘nuovo mondo”. Per questo si ritiene necessario “ridefinirne l’organizzazione”, la “logistica degli ambienti” e rimodularne i percorsi per orientarla “a raccogliere e rilanciare le potenzialità di originalità e creatività insite nell’evoluzione biotecnologica in atto”, lontano da visioni catastrofiste e collassologiche; e a tal fine, d’accordo con gli autori, bisogna dare il dovuto spazio al fatto che “c’è bisogno di Storia e di Storie”, di “Filosofia come forma suprema di pensiero trasversale”, di “Scienza e di Scienze per accedere al cuore delle tematiche del post-umano”, di “un approccio radicale e metariflessivo sulla complessità dei legami che collegano uomo, animali, vegetali, minerali, macchine”.
Emerge così con tutto il suo carico agapico la perenne, umile e ‘modesta Musa’ con l’indicarci ancora una volta la strada per una “nuova vita individuale e sociale, criticamente ragionata e sviluppata e confermata”; e Governare la tecnicasi rivela, pertanto, uno strumento indispensabile per fare i conti con la nostra storia e per proiettarla in un futuro sempre più nelle nostre mani.
Il quadro teorico presentato dagli Autori è convincente. Nella realtà concreta possiamo dire che la maggioranza, se non la totalità, dei sistemi formativi nazionali va in un’altra direzione, oscura e oscurantista, in cui si mescolano nazionalismo e una visione solo strumentale delle tecnologie. Il terreno su cui bisogna agire per correggere la rotta è quello delle singole autonomie scolastiche, dal basso, partendo dal Collegio dei docenti e da un ruolo propositivo dei dirigenti scolastici. Colgo l’occasione per salutare con gratitudine la prof.ssa Pinto Minerva di cui sono stato allievo… qualche anno fa.