I GIORNI DI OLIMPIA
Nel 1916 i Giochi Olimpici furono assegnati a Berlino, ma fu una non celebrazione perché la guerra, per una volta, prevaleva sullapax olimpica. Dopo la riammissione ai Giochi di Amsterdam, nel 1931 la Germania riuscì a farsi assegnare l’organizzazione dell’edizione del 1936, superando la concorrenza di Barcellona. Intendiamoci, non fu una vittoria casuale perché la città tedesca in quegli anni era la capitale europea della cultura, una città in grande ascesa, dove personalità quali l’attrice Marlene Dietrich e lo scrittore Thomas Mann erano di casa. Berlino era una città aperta e tollerante, ma con l’ascesa di Hitler al potere tutto cambiò. Il sentimento di rivalsa di una nazione ferita e umiliata, prima dalla guerra, poi dai trattati di pace, forgiò quella personalità magnetica che fu il Führer, che aveva tracciato nel Mein Kampf il suo programma di conquista e dominio del mondo.
E così, alla vigilia dell’edizione numero undici, molti paesi mostrarono le loro perplessità sull’opportunità o meno di prendervi parte, spaventati dalla forza demagogica del dittatore tedesco ma soprattutto dall’antisemitismo nazista. Per non destare troppi sospetti e calmare le acque, alle promesse degli alti vertici tedeschi di non cadere in atti di discriminazione, seguirono i fatti. Gli ebrei Theodor Lewald, membro del CIO e impegnato nel comitato organizzativo dei Giochi, e la fiorettista Helene Mayer, oro ad Amsterdam, furono riabilitati. Per gentile concessione, sia chiaro, ma perlomeno fu salvato lo spirito olimpico. Tutta la sceneggiatura dell’estetica ariana assunse i connotati di una rappresentazione perfetta, sublime, irripetibile, come riuscì a dar forma e sostanza l’innovativo film di Leni Riefenstahl “Olympia – la festa dei popoli”, uscito nel 1938 e considerato uno dei film più belli della storia delle Olimpiadi. Una festa iniziata proprio con l’accensione del fuoco ad Olimpia che, attraverso otto paesi, era giunto in Germania. Il biondo tedoforo Fritz Schlingen, specialista dei 1500 metri, ebbe il compito di cerimoniare l’ultimo atto del lungo viaggio. Il pomeriggio del 1°agosto Hitler dichiarò aperti i Giochi che per quindici giorni non avrebbero deluso le aspettative, con prestazioni di altissimo livello e con un protagonista assoluto: Jesse Owens.
Figlio del profondo sud americano, dell’Alabama per essere precisi, l’Antilope d’Ebano è indiscutibilmente una delle icone della storia a cinque cerchi. A Berlino vinse i 100 m in 10’’3, i 200 m in 20’’7 con record del mondo e la 4×100 con il tempo di 39’’8. Ma la gara simbolo di quella Olimpiade fu la finale del salto in lungo dove Luz Long, il combattivo tedesco, rese dura ad Owens la contesa. Così si espresse l’atleta americano:” Fu Luz che mi rese possibile la vittoria. Egli guardò aldilà del colore della pelle e delle idee politiche, a ciò che rappresentavano come uomo, e non domandò nulla in contraccambio”. Il loro sarà un rapporto di amicizia che continuerà anche dopo quella finale, finché l’atleta tedesco sarà in vita. Morirà da soldato durante la campagna d’Italia nel 1943.
Resta una leggenda la mancata stretta di mano tra Hitler e l’atleta di colore. Vero è che i gerarchi nazisti lasciassero lo stadio prima delle premiazioni per evitare di premiare atleti ritenuti inferiori.
Le prestazioni di Owens, che in patria non riceverà una grande accoglienza, furono il fiore all’occhiello della spedizione americana in terra tedesca che nell’atletica si riconfermò con quattordici ori.
Trebisonda Valla, chiamata Ondina, incise il suo nome nella pietra dei vincitori olimpici dell’Olympiastadion, facendo suoi gli 80 metri a ostacoli e scolpendo il suo nome anche nella storia dello sport italiano, come la prima donna a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi.
Non riuscì a Zabala la storica doppietta nella maratona, che sarà invece ad appannaggio di atleti asiatici. La vittoria andrà al coreano Son Kitei e il bronzo a Nan Shōryū, in mezzo l’argento del britannico Harper.
Nel nuoto si ripropose il duello tra il Giappone e gli Stati Uniti, con l’inserimento clamoroso dell’Olanda, con i quattro ori femminili ottenuti da Rie Mastenbroek (tre ori e un argento) e da Nida Senff.
A Berlino, qualche anno prima di morire, James Naismith poté assistere alla definitiva consacrazione dello sport da lui creato: la pallacanestro. Su campi presi in prestito dal tennis, sotto una pioggia battente, gli Stati Uniti batterono in finale il Canada per 19 a 8.
Restando negli sport di squadra, l’Italia di Vittorio Pozzo aggiunse l’oro olimpico alla Coppa Rimet di due anni prima, affermandosi come grande potenza del panorama calcistico. Pozzo convocò studenti universitari e calciatori delle serie minori, perché da regolamento non potevano essere chiamati i professionisti. Dopo una vittoria stentata sugli USA, vincemmo 8 a 0 contro il Giappone e in semifinale contro la Norvegia. In finale ci toccò l’Austria, la rivale di sempre. Annibale Frossi, la punta che giocava con gli occhiali, realizzò due reti decisive nel 2 a 1 per gli Azzurri. Due anni dopo Foni, Locatelli, Rava e Bertoni saranno presenti nella vittoriosa trasferta in Francia, dove l’Italia alzò per la seconda volta la Coppa del Mondo. Edoardo Mangiarotti iniziò la sua serie di vittorie nella scherma con l’oro nella spada a squadre. Oro furono anche Giulio Gaudini nel Fioretto individuale maschile e Franco Riccardi nella Spada individuale, in un podio tutto italiano.
Anche nella vela fummo primi nella categoria 8 metri, così come fu d’oro il fiumano Ulderico Sergo nel pugilato, categoria pesi gallo.
La Germania sorprese gli americani piazzandosi al primo posto del medagliere. A seguire l’Ungheria e l’Italia (otto ori).
Quando il fuoco di Olimpia si spense, presero il sopravvento le tenebre dell’odio e della guerra che soffocarono i barlumi di pace e di fratellanza di una festa comunque riuscita. Poi ci furono le annessioni di Hitler e una precipitosa Conferenza di Pace, sempre in Germania, a Monaco. Un fuoco di paglia, perché l’incendio, quello vero, era già divampato e nulla poteva fermarlo. Sei anni di terrore e orrore che spingeranno la furia umana ad un passo dall’autodistruzione.
Tokio e Londra, le sedi delle due edizioni successive, quella del 1940 e del 1944, saranno pesantemente bombardate e non potranno organizzare le Olimpiadi. Da Londra si ripartirà nel 1948, con tanta speranza e con un briciolo di apprensione, con esistenze duramente provate e tante vite spezzate, di cui ci rimarrà soltanto il ricordo di un amichevole carteggio, come tra Jesse e Luz.