…PUR AMANDO I PAESI CHE VI OSPITANO!
Ricordo, come se fosse oggi, quando alle prime ore di una domenica di tanti anni fa trillò il telefono. Scalciai all’aria le coperte e mi precipitai caracollante a rispondere con occhi cisposi ed il fiato in gola mozzato da contrastanti pensieri: “In arrivo… una notizia destabilizzante… che ti sconvolge la vita? L’imperdonabile burla un buon tempone? Un semplice errore di chiamata?”
Alzata la trepidante cornetta, dall’altro capo del filo: “Ed ora siamo in cinque! Oh che felicità!” intonavano allegramente tua madre, Miryam, e tuo padre Giuseppe. Un altro pollone avrebbe allietato a breve la bella famiglia d’amici, nella quale già palpitava il tuo minuscolo cuore, caro Silvio. Sussultai per il tuo arrivo, condividendo la gioiosa accoglienza dei tuoi genitori, amici favolosi.
Qualche ora dopo, partecipasti anche tu, racchiuso nel bozzolo materno ad un’estemporanea escursione sulle verdeggianti Murge, le cui erbe e fiori venivano accarezzate dal vento.
“Scalcia… s’iii… impenna come un destriero imbrigliato, eppure è piccoliiiino, minuscolo”, raccontava compiaciuta, Myriam, seduta all’ombra del Castello, con occhi emozionati, parole che mancavano, gestualità commossa, mentre la sua mano scivolava con grazia, soffermandosi a più riprese, sulla incipiente altura mammellonare. Gli occhi di Giuseppe, dolci, ne calcavano le delicate orme, ed un elegante fuscello di avena sativa ne vellicava il labbro superiore.
Sei cresciuto con i talenti che veramente contano ed uniscono in una bella famiglia affettuosa ed amorevole. Hai sperimentato i sublimi sentimenti della generosità, dell’onestà, della solidarietà, del rispetto della Costituzione, dell’amore per la natura.
Sempre giulivo ed intraprendente. Come universi di giovani spensierati di ogni contrada del mondo. Del dono della vita, quotidianamente, te ne sei preso cura, dipanandolo con mani operose e sguardi sognanti, assaporandolo assieme alle persone più care, intrecciandolo con la magia di altre esistenze.
Correvi a perdifiato, sprofondando sulla sciolta sabbia della spiaggia, saltellavi allegramente tra le erbe dei prati, scavalcavi gli arbusti dei boschi, ti districavi agevolmente in mezzo ai mobili della casa e nell’arcipelago di amici, sprizzando da ogni cellula, da ogni batterio una grande gioia di vivere.
La tua bocca, invece, procedeva guardinga, più a rilento. Ogni tanto incespicava, riprendeva la marcia, si impastoiava, si rialzava e… ripartiva spedita. Le parole non scorrevano fluide come il diafano flusso continuo di un rubinetto, ma tu quasi non ci facevi caso. Gli altri, gli astanti, sì, quasi volessero dare una spinta alle frasi, perché si mettessero a scorrazzare a briglie allentate.
Quando le parole si lasciavano attendere, pazientavi ed, alla fine, governandole, spandevi disinvoltamente riflessioni, sentimenti ed emozioni con viso sereno e gesti contenuti. Chi interloquiva provava persino la sensazione che non volessi minimamente rinunciare a quel connotante dettaglio, offerto quasi come un simpatico vezzo. Da appuntarsi, gelsomino olezzante all’occhiello della tua esistenza ed all’attenzione degli interlocutori.
Anch’io, Silvio, – è la mia anima che si apre alla tua – convivo con la mia zoppìa. Candido giglio dalle vistose antere gialle, per me immensamente profumato. Ne sono perfino orgoglioso e… gli serbo gratitudine. Perché mi ha aiutato a capire il senso profondo della vita, a comprendere da che parte schierarsi. A mettermi addosso la voglia di lottare per il bene comune.
A te capita di inciampare con la lingua, ma le tue parole scaturiscono leali dal cuore e cristalline dall’intelligenza. Libere, volteggiano come le libellule sui fiumi di una volta e volano, lontano in contrade praticate e sconosciute. Io zoppico con il mio malandato piede sinistro, e la mia attenzione scruta negli occhi della biodiversità che incontra, cogliendone la fatica, la noia, l’indifferenza e l’entusiasmo dell’esistenza o cattura la loquace riservatezza del mondo abiotico.
La mia testa a mala pena raggiunge la tua spalla. Ti guardo dal basso in alto, perciò, ed indolenzimenti di torcicollo bussano alle mie affaticate membra, quando mi imbatto in te. Pelle candida e delicata, la tua, come il biancore della natiche di un lattante appena deterso. I tuoi occhi, chiari, luminosi, incorniciati da una civettuola montatura, del tenue verde di una fogliolina appena spuntata, guardano il cielo dalle mille sfumature e le erbe più minute. I tuoi capelli, dal color rame, rievocano la consapevolezza che nelle vene del martoriato Mezzogiorno scorre sangue di mille latitudini, di cui si è persa, ahimè!, la memoria storica. Che permetterebbe di accogliere con occhi più umani e braccia aperte i barconi stracolmi di impauriti migranti.
Chissà quante conoscenze ed abilità digitali possiedi, mentre io sono ancora nella fase della lallazione con il mio computer. Il tuo destreggiarti, poi, con l’inglese dei film che ti porta anche ad offrire la tua preziosa collaborazione, ha del sorprendente.
Oggi, sei ancora più festoso ed allegro che mai. Lo credo, ti sei laureato. Brillantemente. Con il massimo dei voti. Ingegnere informatico! Con le tue forze. I tuoi sacrifici. La tua passione. Con l’impegno di tuo fratello, di tua sorella, dei tuoi genitori, delle meravigliose zie e degli zii che ti sono stati sempre accanto. Amorevolmente.
Con la tua, orsù, diciamola pure, quella paroletta che fa arricciare il naso a tanta gente, sedicente “normale”, anche se spiffera ciance a più non posso ed infierisce sugli inermi, la tua… “balbuzie”, che non ha ostacolato personaggi come, per citarne solo alcuni, Mosè, Demostene, Miguel Cervantes, Alessandro Manzoni, Robert Boyle, Charles Darwin, Italo Calvino, Jimi Hendrix. Dall’impronta significativa, capace di emozionare e far riflettere a distanza di secoli od anni.
Oggi, come quando nascesti, Miryam e Giuseppe mi hanno comunicato telefonicamente che una corona di alloro profuma il tuo capo. Sei emozionato, ma felice. Anch’io. Seduto sul divano, mentre i miei occhi vengono bombardati dalle miriadi di pixel del computer. Il traguardo, che ti eri prefisso, lo hai conseguito onorevolmente. Senza scorciatoie. Senza piegare la schiena. Fiera della propria dignità, in sintonia con l’educazione familiare. Come procedono i tanti giovani che non potranno e, soprattutto, non vorranno contare sulle nefande e nefaste risorse del familismo amorale o del copia-incolla tipico di altolocati personaggi.
Domani, sì, quando il sole riapparirà di nuovo festante all’orizzonte, le tue mani con un misto di sentimenti – dispiacere, rimpianto, rammarico, soddisfazione, ansia, rabbia, speranza – saranno affaccendate nel rimpinzare il trolley.
Per raggiungere la tua ragazza, anche lei laureatasi brillantemente, anche lei figlia di gente semplice, anche lei orgogliosa di essere un virgulto sano, onesto e promettente del Mezzogiorno, che ha dovuto agitare il fazzoletto, umido, salutando te e l’Italia intera dalla scaletta della Ryanair.
Ora, espulsa in maniera invereconda dal suo Paese, che tra i suoi figli conta anche tantissime meravigliose figure umane, continua le sue ricerche chimiche in una prestigiosissima università del Regno Unito, che, lungimirante, per i suoi interessi, l’ha accolta a braccia spalancate, dopo averla sottoposta ad un rigorosissimo check up culturale.
Congiuntamente “Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta” direbbe il Poeta, costretto ad andare ramingo.
Riporrai nella valigia indumenti, libri, computer ed… il sogno di un lavoro, gratificante professionalmente. Socialmente utile. Nella tua natia terra, un’occupazione la potresti pure trovare, tu, ma al nero, sottopagata, sottostimata, in balia di manigoldi di mezza tacca dal colletto lindo. Carnefici. Persino, omaggiati da furfanti d’ogni rango e dalle proprie vittime.
Un rammarico mi scuote e non dà tregua al pensiero delle macerie che la mia generazione vi lascia in eredità, mettendocela tutta, quasi esclusivamente nel ricostruire un’Italia avida nel consumare ogni sorta di risorsa. Esauribile.
Avrebbe dovuto impegnarsi con energia per la tutela e valorizzazione del proprio territorio, per il futuro delle successive generazioni. Avrebbe dovuto predisporre per i giovani, i propri figli, dignitose opportunità di vita e di lavoro. Lo specchio lo ricorda, ormai anche lui inascoltato ed amareggiato, costringendo a reclinare il capo. Ah! Che cosa direbbe oggi il vate Pier Paolo Pasolini, se vomitasse dalla sua bocca piena di terra chiare parole di fuoco! Lui che aveva previsto tutto!
Che l’esilio tuo, vostro, cioè, di tutti i figli dell’Italia, del mondo, sia solamente un’occasione di proficuo studio, un’esperienza spirituale e materiale presso un’altra fetta di umanità. Che tempri cultura ed spalanchi orizzonti includenti. Che un giorno o l’altro, vicino, possiate riannodare i rapporti di affetto con la vostra Patria e “Madria”.
Che riusciate persino, voi giovani Italiani, a dare una mano alla povera “Italietta”, aiutandola a risalire dal baratro in cui è stata scaraventata. Ignobilmente. Anche da ciascuno di noi. Adulti e competenti, a nostra insaputa.
Ti chiedo perdono, Silvio, per le mie manchevolezze ed inefficienze personali. Grazie, per il tuo coraggio. Imbarca, per favore sul volo low cost anche un forte abbraccio per tutti i comunitari e gli extracomunitari, che sono costretti a fuggire dal proprio mondo, ed… arrivederci a tutti. Nei focolari domestici, dove le lingue delle fiamme della speranza e dell’attesa, infuocate, continueranno a lambire il cielo.