La Calvaruso spiega: bisogna prima spezzare il piede, bloccandolo tra due mattoni e colpendolo con un peso da 50 chili….

L’intervista choc rilasciata dalla ventisettenne Francesca Calvaruso, di Bagheria, a Repubblica  ha svelato tasselli sconvolgenti di stra-ordinaria vita quotidiana, già oggetto di indagini da parte della magistratura: due organizzazioni criminali, in Sicilia, realizzavano frodi a danno di Compagnie di Assicurazioni ed intascavano denaro attraverso la frattura agli arti di persone consenzienti, alle quali veniva garantita la corresponsione di una parte della somma riscossa. Il tariffario dell’orrore era cinicamente predeterminato: 300 euro per chi fosse disposto a farsi spaccare un solo arto; 800 euro per due fratture e 1000 euro per quattro fratture. Dopo il risarcimento da parte dell’Assicurazione, l’invalido  avrebbe ricevuto il 30% della cifra, ma la promessa non è stata mai mantenuta. Ad organizzare l’intera operazione era un perito assicurativo di Palermo, Michele Caltabellotta, capo di una delle due gang di criminali, mentre un’infermiera dell’ospedale di Palermo forniva le dosi di anestetico da somministrare a chi avrebbe subito i traumatici interventi.

La Calvaruso nell’intervista spiega come gli aguzzini l’abbiano fatta distendere a terra e le abbiano precisato di voler procedere prima con la frattura del piede, più difficile, e poi con quella del braccio, perché, in questo modo, avrebbe sentito meno dolore. Le hanno bloccato il piede tra due mattoni e poi lo hanno colpito con un disco di ghisa, simile a quello usato nel body building, del peso di 50 chili. Tutto questo mentre uno le tappava la bocca per  impedirle di urlare e un altro le chiudeva gli occhi con nastro adesivo per ostacolarle la visione della scena.

Successivamente all’intervento di mutilazione, è stato inscenato un incidente stradale: la giovane donna è stata lasciata al bordo di una strada; dei passanti si sono fermati a prestare i primi soccorsi finché non è arrivata l’ambulanza, il cui intervento ha messo in moto il meccanismo del rimborso assicurativo.

Ovviamente le menomazioni fisiche costringevano le vittime, molte delle quali recano ancora sul corpo i segni indelebili delle brutture subite, ad utilizzare per lunghi periodi stampelle e sedia a rotelle e ad essere prive di autonomia nell’espletamento delle azioni più comuni.

La morte di una delle vittime ha fatto scattare le indagini, da cui sono emersi i dettagli raccapriccianti dello sporco giro di denaro e del macabro rituale per procurarlo,  inducendo gli sventurati ad uscire allo scoperto.

Il background delle varie storie presenta un comune denominatore: povertà materiale e spirituale,  degrado culturale e morale, disagio esistenziale. Le vittime che si autocondannavano al sacrificio erano e sono assillate, infatti, da problemi economici, mentali o di tossicodipendenza che le marginalizzano relegandole ai limiti della sopravvivenza. Emblematico è il caso di Francesca,che ha volontariamente accettato di sottoporsi all’azione mutilante per evitare che il tribunale dei minori la privasse dei figli, una volta uscita dalla comunità in cui attualmente si trova. C’è da chiedersi: la sua si può ritenere una decisione autonoma e consapevole? E inoltre: si possono  barattare la sacralità della vita e l’integrità fisica per qualche centinaio di euro? E ancora: Francesca e i suoi compagni di sventura sarebbero arrivati a compiere un gesto aberrante, se qualcuno li avesse aiutati?

Dal quadro della vicenda emerge la certezza che, da un lato, non funzionano gli anticorpi degli interventi istituzionali (stato, regione, comune), nei casi in cui è verificabile lo stato di bisogno estremo; dall’altro, che la “globalizzazione dell’indifferenza” continua a soffocare ed a spazzare via, nei singoli, qualsiasi residuo di umanità e di compassione, nel senso di condivisione fraterna.

Ma, se nel vivere sociale si sono offuscati, fino a scomparire, i valori evangelici della solidarietà e dell’ attenzione verso gli ultimi, sanciti tra l’altro dalla Costituzione italiana, altrettanto inequivocabile è il dato che essi sono stati soppiantati da disvalori,perseguiti da individui senza scrupoli, quali la disponibilità e il maneggio di denaro, la smania di potere, il delirio di comando, il senso di superiorità rispetto alle leggi e, soprattutto, la presunzione di poter abusare della vita altrui, violando e profanando la sua sacralità, nonché attentando alla sua integrità.

Fortunatamente tante donne e tanti uomini di buona volontàcercano ancora di contrastare,  con i mezzi a disposizione, la  tendenza a considerare le persone come scarti, alimentando la speranza che possa verificarsi il prima possibile una inversione funzionale alla rivalutazione dei beni più profondi ed autentici della dimensione umana.


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Sono Rosa Del Giudice, già docente di italiano e latino presso il Liceo Scientifico "R. Nuzzi" di Andria dal 1969/70 al 1998/99 e, ancor prima, docente di italiano e storia presso l'ITIS "Sen. Jannuzzi" di Andria. Attualmente sono la rappresentante legale del Centro di Orientamento "don Bosco", che dal 1994 è un'Agenzia Educativa molto presente sul territorio andriese in quanto si occupa di temi pedagogici ad ampio spettro, promuovendo ed organizzando, prioritariamente, attività in due ambiti: l'orientamento scolastico nelle ultime classi delle secondarie di 1° grado, finalizzato a ridurre il fenomeno della dispersione; la formazione dei docenti, che la L.107 su "La Buona Scuola" opportunamente considera come obbligatoria, permanente e strutturale. Non lesino il mio contributo all'interno di Associazioni che si battono per il perseguimento del bene comune ed il riconoscimento dei diritti a quanti vivono nelle periferie esistenziali del mondo.