
A quarant’anni da una vicenda che ha tragicamente segnato la storia del nostro Paese, la penna di Antonio Del Giudice ci consegna un ricordo che egli stesso definisce “a modo mio”…
Caro Direttore,
si avvicina il 16 marzo che, da quarant’anni, occupa di diritto un tragico posto d’onore nel calendario della storia della nostra Repubblica, nella memoria degli italiani che c’erano e in quelli che nacquero dopo.
La mattina di quel 16 marzo del 1978 a Roma, in via Fani, si consumò il rapimento dell’onorevole Aldo Moro e la strage dei suoi uomini di scorta, per mano delle Brigate rosse, gruppo terrorista della sinistra anti-sistema. Non sono uno studioso né ho strumenti per spiegare. Posso solo dire che Moro avrebbe pagato con la vita, dopo 55 giorni di prigionia, il suo disegno illuminato di dar vita a un governo che mettese insieme la sinistra operaia del Pci e il partito cattolico della Dc, il suo partito. Consapevolmente o meno, gli assassini delle Br avevano dato compimento a un disegno che non dispiaceva a Washington e neanche a Mosca.
Ma questa mia riflessione, caro Direttore, non ha e non vuole avere pretese storico-politiche, vuole solo essere un ricordo personale, che mi piace affidare a Odysseo. In quei giorni ferveva ad Andria la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale; campagna dura, come al solito fra Dc e Pci, ma figlia del nuovo clima che fra comunisti e democristiani si era creato da due anni, dopo la non sfiducia di Berlinguer al governo Andreotti nell’agosto del 1976, risultato del paziente e lungimirante lavoro di Moro, appunto.
Al tempo, lavoravo alla Gazzetta del Mezzogiorno, giornale di riferimento dello statista pugliese, e avevo accettato di candidarmi come indipendente nelle liste del Pci. Proprio il pomeriggio del 16 marzo era previsto, in piazza Catuma, un comizio al quale avrei partecipato insieme a Giovanni Lomuscio, poi diventato sindaco con la maggioranza conquistata dalla sinistra (allora non c’era l’elezione diretta). Conservo ancora il gigantesco manifesto rosso che annunciava quella giornata. Ma, come potete immaginare, quel comizio non si tenne mai. La notizia del rapimento di Moro mi colse mentre tornavo da Bari con la mia 500. Ero appena entrato dal casello di Bitonto quando la radio annunciò la strage. Moro, sì, era stato risparmiato, ma per un destino più feroce.
La prigionia dello statista tenne il Paese con fiato sospeso, diviso fra fermezza a trattativa. Il Pci era per la fermezza e la Dc pure, convinti che lo stato non dovesse e non potesse cedere ai terroristi. I socialisti cercarono una strada per trattare, e – in gran segreto – anche Paolo VI, grande amico di Moro, cercò una strada per liberarlo.
Dopo quarant’anni, confesso oggi che mi sentii più vicino ai socialisti e sperai che il papa (che diventerà santo entro quest’anno) convincesse Dio a restituirci Moro.
Il manifesto di quel comizio mancato mi ricorda ogni giorno di quanto quella perdita abbia segnato in peggio la storia di questo Paese.
Rimane nella mia testa il ricordo e la venerazione per un Uomo con la maiuscola che aveva capito in anticipo quel che si muoveva nel mondo, e aveva impegnato la sua vita a costruire un’ Italia che fosse pronta ad affrontare i cambiamenti.
Beh…se non fosse esistito Vico non ci sarebbe chi, a partire dal sottoscritto, “ravana” con i “ricorsi” storici. Che sia monito a coloro … vincitori entrambi … affinché colgano il senso vero e più genuino di quel che si intende per “compromesso storico”? In quel tempo sicuramente di più difficile attuazione che oggi, eppure quasi riuscito. Ora … tali estremismi armati e reali, così in grado di processare lo stato più che essere processati, non parrebbero quantomeno esistere con le stesse forme e portanze. Pertanto … che si fa? Si prova? Moro docet !!!
Bellissimo ricordo, soggettivo e oggettivo al tempo stesso