Intervista allo scienziato andriese Carlo Matera

Una premessa è doverosa: quella di cui vi parleremo non è una scoperta su come sconfiggere il cancro. Troppe, in questi anni e sui social, sono state le fake news legate all’argomento. La nostra è solo una volontà di rendere omaggio a Carlo Matera, giovane scienziato andriese, trapiantato in Spagna, che, grazie al suo team di ricerca, ha studiato gli effetti collaterali, spesso devastanti, della Chemioterapia, provando a ridurli.

Ciao, Carlo. Oltre a distruggere le cellule tumorali che proliferano rapidamente, la chemioterapia può sterminare anche le cellule sane, come quelle del sangue, dello stomaco, della bocca, dell’intestino e degli organi riproduttori. Come si può evitare o, quantomeno, bloccare la progressione di questi pericolosissimi effetti collaterali?

Come hai accennato, i farmaci chemioterapici funzionano grazie alla loro capacità di interferire con la crescita e la proliferazione cellulare, ma diventano tossici nel momento in cui attaccano anche le cellule sane. La chemioterapia è di per sé molto efficace nel combattere i tumori, ma alcuni dei suoi effetti collaterali possono essere mal tollerati dai pazienti, rendendo in molti casi necessaria una modifica o addirittura una sospensione del piano di trattamento. Per eliminare, o almeno ridurre, gli effetti avversi associati a questo tipo di terapia, i ricercatori impegnati in questo campo stanno cercando da anni di sviluppare trattamenti chemioterapici sempre più selettivi, mediante strategie diverse che possono coinvolgere l’attivazione o il rilascio del farmaco antitumorale.

Anche il gruppo di ricerca presso il quale lavori a Barcellona (http://www.ibecbarcelona.eu/) è attivo in questo campo. Qual è la vostra strategia per ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia?

Esatto, da qualche anno nel nostro piccolo stiamo cercando di dare un contributo. Il nostro gruppo, guidato dal Prof. Pau Gorostiza, è specializzato nella progettazione e lo sviluppo di farmaci fotocommutabili (dall’inglese “photoswitchable”) ad effetto reversibile, ovvero farmaci che, per via della loro particolare struttura chimica, possono essere attivati e disattivati con luce a differenti lunghezze d’onda, o in alcuni casi disattivarsi spontaneamente. In particolare, abbiamo di recente ideato e preparato una versione fotocommutabile, o fotoattivabile se preferisci, di un noto farmaco antitumorale, il Metotrexato. Questa nuova molecola, che abbiamo simpaticamente ribattezzato Fototrexato (“Phototrexate”, https://pubs.acs.org/doi/10.1021/jacs.8b08249) è in grado di assumere due diversi stati conformazionali, denominati trans e cis, a seconda della luce con la quale viene illuminata. Gli studi preliminari svolti finora hanno dimostrato che il Fototrexato è praticamente inattivo nella sua forma trans, mentre esibisce un notevole effetto antiproliferativo nella sua forma cis. Gli effetti farmacologici del Fototrexato potrebbero quindi idealmente essere innescati solo dove e quando necessario, riducendo o eliminando effetti non desiderati in altre regioni dell’organismo.

Perché proprio la luce per controllare gli effetti dei farmaci?

La luce in biologia e farmacologia rappresenta uno strumento dalle proprietà uniche. Per citare le più importanti, la luce può essere trasmessa con estrema precisione spazio-temporale e, a determinate lunghezze d’onda, è in grado di attraversare molti dei nostri organi e tessuti senza interferire con le normali funzioni fisiologiche. Farmaci in grado di attivarsi o disattivarsi a comando attraverso uno specifico stimolo luminoso potrebbero in futuro permetterci di curare o trattare con elevata precisione il cancro e molte altre malattie.

A microfoni spenti ci hai confidato che il rischio, in questi casi, è che si confondano “molecole prototipo” in questione con una nuova e miracolosa cura contro il cancro. A quali miglioramenti concreti può portare, però, questa scoperta?

Il Fototrexato non è privo di difetti e gli studi condotti finora da noi sono ancora molto preliminari, per cui bisogna fare attenzione a non creare false aspettative, soprattutto quando si ha a che fare con patologie così gravi. Stiamo attualmente proseguendo i nostri studi che ci permetteranno presto di capire dove possiamo arrivare. In ogni caso crediamo che la nostra scoperta, assieme a quelle di altri gruppi che lavorano nello stesso campo, rappresenti un ulteriore passo avanti verso lo sviluppo di trattamenti chemioterapici controllabili con la luce.

Obiettivi futuri?

Come dicevo, il Fototrexato non è perfetto. Per esempio, per attivarlo è necessario utilizzare lunghezze d’onda relativamente corte (luce UVA), che hanno una scarsa capacità di attraversare i tessuti biologici. Siamo quindi alla ricerca di strategie tecnologiche alternative che ci possano consentire di illuminare la nostra molecola anche quando si trova più in profondità. Stiamo inoltre progettando nuovi derivati del Fototrexato che saranno in grado di rispondere a lunghezze d’onda più alte, e quindi applicabili sull’uomo con maggiore efficacia e sicurezza. La strada è ancora lunga, e bisognerà affrontare tutti i soliti ostacoli normativi, ma siamo abbastanza fiduciosi nel credere che un giorno sarà davvero possibile curare il cancro e altre malattie con farmaci fotocommutabili.