Si intitola “Raines Quest – I Signori delle Ombre”, il nuovo libro di Simone Giusti, illustrato da Matteo Macchi. Un racconto epico che affonda nella modernità le radici di certami medievali e le antichità di leggende fantasy:

Ciao, Simone. Su cosa è incentrata e cosa rappresenta la saga Sword&Sorcery?

Avventura e spensieratezza. A differenza del fantasy classico, nello sword&sorcery non c’è un bene che combatte un male come due schieramenti contrapposti e distinti, nello sword&sorcery il male è dentro ogni persona e si manifesta in base alle scelte che ciascuno di noi prende. Nello sword&sorcery il male è la brama di potere e la sete di ricchezza, che in fondo non sono altro che strumenti che anche noi oggi utilizziamo per essere rispettati, amati e accolti dal gruppo/società. Il bello dei protagonisti dello sword&sorcery è che loro se ne infischiano del bisogno di accettazione degli altri, loro compiono avventure e, nelle loro pericolose odissee, si divertono mostrando uno spirito spensierato che non è altro che il frutto della loro gioia di essere se stessi. Appaiono forti perché decisi e fermi e sicuri. Quando i conflitti interiori sono sconfitti, il protagonista non ha più bisogno di identificarsi con uno schieramento per sentirsi parte di qualcosa, è semplicemente se stesso: totalmente neutrale e allineato solo a sé. Però è bello lasciarlo preda delle ombre affinché si getti a capofitto dentro mirabolanti avventure. Il Conan del film era logorato dalla brama di vendetta, Jack Burton di “Grosso guaio a Chinatown” era attaccato al proprio camion, Ash Williams di “L’Armata delle Tenebre” era dominato dalla voglia di tornare a casa… e Raines di Sword&Sorcery ’500 è catturato dalla brama di ricchezza.

Perché “Raines Quest – I Signori delle Ombre” ha uno stile, illustrativo e descrittivo, collocabile negli Anni Ottanta?

Anzitutto per questa lettura spensierata e libera allineata a sé del personaggio. Raines è schietto, sprezzante, apparentemente superficiale… ma è semplicemente sicuro di sé e caratterialmente forte e deciso. Un po’ come gli eroi cinematografici anni Ottanta interpretati da Arnold Schwarzenegger, Bruce Willis, Mel Gibson, Kurt Russell e tanti altri. Questo comporta una struttura narrativa godibile e avventurosa focalizzata sul positivo, sulla gioia e il divertimento, quindi sul guadagno dall’esperienza e non sul dramma della perdita. In secondo luogo, l’impianto strutturale del libro e dell’intera saga, comprese le illustrazioni, richiamano i libri della mia infanzia, quelli che erano capaci di catapultarmi in un fantastico avventuroso positivo ed entusiasmante. Il motore dell’intero progetto è appunto quello di ricreare nei vecchi e nuovi appassionati del genere le stesse strabordanti emozioni che forgiarono me più di trent’anni fa.

Sembra quasi un controsenso che lo sword&sorcery, un genere all’apparenza crudo, egoista e superficiale, possa trasmettere queste emozioni, ma in realtà, donando divertimento e avventura, innalza gli stati emotivi verso la gioia e l’amore. La miglior cura per il mondo? Divertirsi e ridere insieme.

Nella stesura del libro possiamo riscontrare elementi comuni, per esempio, al Don Chisciotte di Cervantes, piuttosto che a Camelot o al Mille e una notte?

Grande! Hai colto molto bene. Anzitutto Raines Quest ha quel senso di picaresco come Don Chisciotte, vale a dire di un tizio che vaga d’avventura in avventura spinto costantemente dal vento delle imprese. I personaggi di Raines Quest, così come quelli dello sword&sorcery in generale, non sono identificati con un ruolo, loro il ruolo lo inventano, e così sono mercenari, banditi, pirati, ladri e tutte le etichette che il mondo attorno a loro gli vuol dare. Della saga arturiana ha l’idea di eroe che è qualche spanna sopra al resto dei “comuni mortali”. Gli eroi sword&sorcery, così come quelli di Camelot, affrontano peripezie inimmaginabili per la gente comune. E infine “Mille e una notte” sì in pieno, perché l’immaginario mediorientale è potente e presente fin dal primo volume, addirittura fin dalla prima avventura che ha a che fare con favorite del sultano, visir e geni… non tanto buoni, però. Quest’universo che ha segnato la mia infanzia, unito ad altre opere fantastiche, sarà presente e massiccio nell’intera saga, ovunque le avventure porteranno Raines e i suoi compagni.

Chi sono i cavalieri e le damigelle dei tempi moderni?

Chiunque voglia sentirsi tale. La vita è bella proprio perché possiamo giocare, e il gioco è bello finché ci immedesimiamo senza scendere nell’identificazione. Come i bambini che giocano spensierati convinti di essere re e regine, maghi e principi, guerrieri e pirati, damigelle o principesse, così la vita ci offre la straordinaria opportunità di essere ciò che vogliamo. Basta non identificarci, altrimenti iniziamo a prendere tutto sul serio e il gioco finisce nella sofferenza e nell’odio. Se vogliamo dare una chiave spensierata alla risposta che ti sto per dare, ti dico che i cavalieri e le damigelle dei tempi moderni sono tutti coloro che sanno giocare alla vita senza prendersi sul serio.

Ritieni soddisfacente la, sempre più esponenziale, trasposizione cinematografica del genere fantasy?

Questa è una risposta molto soggettiva. C’è qualcosa che mi ha divertito, poche cose mi hanno rapito, e queste non appartengono al genere strettamente fantasy. “Edge of tomorrow” è un film che ho visto a ripetizione e che guarderei ancora e ancora e ancora. È un fantastico, ma è fantascienza. Quindi mi sa che non rientra nella domanda. “Watchman” è un film magnifico che ho visto e rivisto. Ma siamo nel genere supereroi, quindi fantastico ma non fantasy in senso stretto. Nel fantasy mi è piaciuto “Warcraft”. Non me lo aspettavo e invece mi son divertito. Però il fantasy in senso stretto non mi ha dato quello che per il momento riescono a darmi altri generi. Forse perché negli ultimi vent’anni il fantasy ha virato verso tematiche e strutture narrative che mi affascinano e mi interessano molto meno, o forse perché c’è molta testa e poco cuore. Chi lo sa. La cosa importante è: se non trovi quel che ti diverte, crealo.