“Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò” (Dal Vangelo secondo Giovanni 20, 4-5)
L’annuncio della Pasqua nel testo del Vangelo di Giovanni, descrive l’azione agonistica e a perdifiato del Discepolo amato e di Pietro: corrono ‘insieme’, ‘veloce’, ma c’è di più, ‘si aspettano’ per entrare insieme nel sepolcro e verificare con i loro occhi la Resurrezione del Signore Gesù Cristo.
Potremmo dire, che in questa ‘corsa’ dei due discepoli Giovanni e Pietro, prende forma il modello delle prime comunità cristiane, che ragionano con un cuore solo e un’anima sola (At 4,32), per la conformazione integrale al disegno di salvezza annunciato dal Maestro Gesù Cristo, lungo le strade della Galilea.
Giovanni e Pietro figurano in questa pericope come due credenti maturi, già radicati in ruoli di responsabilità e impegno, di annunciatori della bella notizia, e vogliono comunicarci una mentalità diversa, aperta, diretta ad incontrare un Dio dal volto storico, relazionale e comunitario.
Correre come comunità, prendendo esempio dal Discepolo amato e da Pietro, significa arrivare prima del Male, arrivare prima della Catastrofe, arrivare prima del Disagio, arrivare prima della Sofferenza, arrivare prima della Pena, arrivare prima della Sciagura, arrivare prima della Disumanità per annunciare al mondo, alla società, che Cristo è Risorto e ha vinto la Morte, che il Bene ha vinto le Tenebre, che la Verità ha vinto la Menzogna, che la Giustizia ha vinto il Sopruso, che la Bellezza ha vinto la Mostruosità.
Correre, quindi, è una prerogativa cristiana nel senso della salvaguardia della Vita, del Creato, dell’Umanità del miglioramento e del perfezionamento del rapporto con se stessi, con gli altri e con Dio. Non l’affrettarsi concitato, divorante, calcolatore e consumista di relazioni senza coscienza, di beni senza valori, di azioni senza virtù.
La Pasqua allora non è un evento isolato, che bisogna celebrare una volta l’anno per dovere di religione in quanto professi cristiani per fede o convenienza, ma l’evento di allenamento ordinario da vivere come uomini e donne battezzati nel nome di Cristo, per individuare sempre nuove speranze e attenzioni nel tumulto immorale circostante, contemporaneo, da orientare nell’edificazione di una comunità e società più umana, più solidale, più giusta, più vera.
Ciò vuol dire per il cristianesimo, di oggi, uno sviluppo di una spiritualità, che corre verso l’altro e con l’altro, nel desiderio di vivere il presente comunicando con opere quotidiane sane e vigorose, il desiderio di imparare e insegnare l’amore, per contagiare e attraversare la storia con il racconto delle Verità, rendendo libera l’Umanità dalla Schiavitù imperante come Cristo ha fatto con la Morte.
L’augurio di questa nuova e Santa Pasqua è tentare insieme con Cristo e in Cristo, di correre insieme come comunità cristiana in un sistema sociale, politico, economico complesso, per provare a diversificarsi con coraggio e valore per un cambiamento possibile, tipicamente umano, nella ricerca di comuni denominatori, che stabiliscano le priorità effettive di un cammino condiviso, che superi le logiche di una cultura della dis-integrazione e promuova invece una cultura dell’integrazione.
Buona corsa e Buona Pasqua.