sacerdoti

Se le parole del papa fossero realmente comprese dai suoi sacerdoti, essi sicuramente più che applaudirlo avrebbero già provato a farlo fuori, come accadde ai tempi di Gesù. Papa Francesco, infatti, come Gesù ai suoi tempi, dà fastidio alle autorità religiose perché pone in risalto le loro ipocrisie. O almeno è quello che prova a fare.

Il sommo pontefice sta cercando in tutti i modi di smuovere le singole chiese particolari e i suoi pastori dalle loro posizioni arroccate e auto-conservative, verso la sequela di Cristo. Quante volte, infatti, abbiamo sentito il papa dall’inizio del suo pontificato parlare di una chiesa in uscita, di una chiesa ospedale da campo, di sacerdoti che amino la gente piuttosto che essere professionisti della pastorale, eccetera, eccetera, eccetera? Ormai non si contano più. E non si è limitato soltanto a parlarne. Ma lo ha anche scritto nella sua prima Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium.

Questo modo di relazionarsi del papa – meno diretto di quello di Gesù con i farisei – fa parte del suo stile ed è tuttavia molto condizionato dalla sua funzione di padre e di pastore della Chiesa universale. Egli infatti non accuserebbe mai direttamente e pubblicamente il suo clero: sarebbe un clamoroso autogol. Ma parla in maniera esplicita di cosa lui desidera, di cosa lui chiede alla sua Chiesa e di cosa invece no.

Per capire bene cosa chiede, tuttavia, è bene ritornare e soffermarci sulle sue parole.

È da notare una sottigliezza che forse sfugge a molti: il papa non chiede ai sacerdoti di adempiere i loro compiti essenziali quali celebrare l’eucarestia, confessare, organizzare l’attività pastorale, praticare le memorie e le feste liturgiche con le annesse feste patronali. E perché non lo fa? L’unica risposta ovvia è perché questo avviene già, viene già praticato. Quello a cui mira evidentemente Francesco è di toccare il cuore e la profondità del modo di essere sacerdote e non del suo modo di fare. Si potrebbe dire che pensa più alla sostanza che alla forma, o meglio ancora che la forma dell’essere sacerdote necessita di una sostanza che trascende le sole forza umane.

Quindi in sostanza il papa ci vuole dire, e soprattutto lo vuole dire ai suoi sacerdoti, di rivivere la pienezza del Vangelo, che non è legata alla sola esteriorità e alla pratica religiosa. Questa va bene, è una cosa buona, ma solo se aiuta a coltivare e alimentare la vita interiore, la vita dello spirito.

Un’altra piccola nota da fare riguarda la lingua che lui utilizza per esprimersi: l’italiano, che è la lingua che parla la Chiesa di Roma. È chiaro che ogni sua parola riferita al ministero del sacerdozio è valevole in ciascuna parte del mondo, ma siccome si esprime nella nostra lingua è chiaro ed evidente che il suo messaggio è indirizzato per natura innanzitutto ai sacerdoti italiani, a seguire poi a tutti gli altri.

Eppure, nonostante tutto, il papa viene osannato. Da quasi tutti si potrebbe dire. E anche i sacerdoti a proprio comodo spesso lo citano come fosse un oracolo.

Ma chi davvero lo comprende? Perché alle parole non sembrano seguire i fatti.

O siamo nel caso che, primo, se realmente viene compreso, le roccaforti auto-conservative delle chiese locali sono diventate nei secoli così inespugnabili che lo spirito delle sue parole non riesce a giungere in profondità, ma si limita ad ottenere solo un’obbedienza esteriore, come in molti casi è successo già con il Concilio Vaticano II. Oppure, seconda ipotesi, i modi di comunicare del papa in quanto gerarca della Chiesa sono troppo elusivi del problema e non riescono ad essere compresi e assimilati alla radice.

Il risultato finale comunque è identico: le sue parole cadono nel bacino dell’indifferenza! O meglio non riescono a fare la differenza nella concretezza delle singole chiese.

E ci si chiede, allora, se Francesco e la Chiesa tutta abbiano finalmente il coraggio di mettere in luce la questione e rinnovare il ministero sacerdotale nelle chiese particolari.

Fino ad ora il papa non ha nulla da temere per la sua vita. Se minacce arrivano dai fondamentalismi, esse sono esclusivamente legate a colpire il simbolo che il papa ricopre in Occidente e non di certo il suo ministero.

Al di là di tutto, comunque, Papa Francesco rimane e passerà nella storia della Chiesa come il pontefice che, con il suo linguaggio e il suo stile, ha ricordato alla Chiesa dei nostri tempi qual è l’essenza della via, della verità e della vita della fede cattolica. In futuro molto probabilmente, per il cammino tracciato da questo pontificato, la vita dei sacerdoti diocesani si avvicinerà sempre più alla vita dei religiosi e dei consacrati. E così forse i sacerdoti ministeriali potranno, oltre che espletare il loro compito di somministrazione dei sacramenti come se si trattasse solo un lavoro di ufficio, incominciare a credere e a vivere nella propria carne il Vangelo di cui sono annunciatori, a vantaggio di tutti. Innanzitutto loro.


Articolo precedenteL’Avvento: un tempo monastico
Articolo successivoCosa accade alla casa quando esco sbattendo la porta: una interpretazione
Terrone e fiero di esserlo: Nicola nasce a Trani, Puglia, nel 1985. Studia Economia a Bari e a Siena: ha grandi desideri di fare del bene per il mondo in cui vive. Sogna le istituzioni internazionali, ad un lavoro di prestigio dopo l'università e al bene per la sua terra di nascita. Riscopre la fede nel borgo toscano ed incontra i gesuiti alla cappella universitaria di Bari, mentre si interroga sul suo desiderio vocazionale; dopo essersi riavvicinato alla fede, infatti, tutta la sua vita e i suoi desideri erano cambiati: vuole ridonare quell’amore gratuito ricevuto da Dio di cui ha fatto esperienza e pensa al sacerdozio. Dei gesuiti, lo affascinano la libertà interiore, la profonda lettura del Vangelo e il carisma degli esercizi. Nel 2017 entra in Noviziato a Genova e nel 2019 fa i suoi primi voti. Attualmente vive a Roma, dove studia filosofia. Ama la vita che conduce, ama la vita in Compagnia.