Così se ti chiami Roberto Bonzio e metti a punto una teoria conosciuta come “Sindrome del Palio di Siena”, lo stuolo di gente presente ai tuoi congressi deve starti a sentire, perchè, in fondo, tutti ne siamo affetti.

Nomen omen” usavano ripetere i latini. Ma per Sapia la saggezza era un concetto sconosciuto. Incontrando Dante nel XIII Canto della Divina Commedia, la donna gli aveva raccontato di come, in vita, avesse pregato Dio di procurare la sconfitta ai suoi concittadini nella battaglia di Colle Val d’Elsa. “Fui molto più lieta delle sfortuna altrui che della mia fortuna“, questo il testamento che il padre della lingua italiana portò via dal girone degli invidiosi. Ma l’Inferno dantesco ci lascia molto di più, ci offre lo spaccato di un’italianità abbarbicata su sabbie mobili di inutile competitività.

Nomen omen” solevano ripetere i latini. Così se ti chiami Roberto Bonzio e, traendo ispirazione dalle parole di Luca Cavalli Sforza e Federico Faggin, metti a punto una teoria conosciuta come “Sindrome del Palio di Siena”, lo stuolo di gente presente ai tuoi congressi deve starti a sentire, perché, in fondo, tutti ne siamo affetti. Bozio, rielaborando uno spunto del famoso genetista, professore all’Università di Stanford, in California, spiega come la carenza di patriottico associazionismo di noi italiani dipenda da una forma mentis tipica dei fantini del Palio di Siena, impegnati ad impedire all’avversario di tagliare il traguardo, piuttosto che concentrarsi sul proprio successo. Intabarrati da convinzioni consumistiche, viviamo continui confronti con colleghi, parenti, amici e vicini di casa. Contrastiamo, adulandolo inconsapevolmente, chiunque possa rappresentare il metro di paragone con i nostri obiettivi personali. Attitudine, questa, riscontrabile, secondo Schopenahuer, già durante l’infanzia, quando emarginiamo il più bravo della classe, additandolo come “secchione”, o quando, tra ragazzine, facciamo fronte comune ai danni della più bella.

Mors tua, vita mea“, ripetevano i latini. L’espressione, utilizzata dai gladiatori all’ingresso del Colosseo, parrebbe oggi attecchire su ideologie che giudicano l’uomo dalla sua capacità consumistica. Per forza di cose, siamo ciò che abbiamo. E’ la consunta carta di credito nel portafogli a determinare la nostra individualità, esistiamo animati da spirito di emulazione, mentre, nel frattempo, pensieri atavici e nichilistici baluginano in un cervello dilatorio e, ingiustificatamente, assente. Sfidiamo solo chi vediamo, chi ci è accanto in quel momento, scadendo in stereotipi nei quali siamo lieti di bivaccare. L’impiegato statale diventa, quindi, il furbetto lavativo che critica l’imprenditore milionario che evade il fisco e che, a sua volta, si stampiglia in una sorta di catena alimentare basata su un modello economico concorrenziale.

Un cabottaggio tra poveri dove, a godersela, sono sempre i poteri forti, capitalisti d’emozioni latori di briciole, effimere soddisfazioni che ci lasciano con un sorriso amaro che suona, quasi, come un nitrito!


1 COMMENTO

  1. Da Roberto Bonzio riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione, scusandoci per la nostra precedente, e non voluta, imprecisione.
    Paolo Farina

    Gentile redazione
    la fortunata metafora della Sindrome del Palio di Siena rievocata nel bell’articolo di Miky Di Corato, modestamente l’ho inventata io, come autore del progetto multimediale Italiani di Frontiera http://www.italianidifronti…,
    Vi ringrazio per l’attenzione (nell’articolo che vedo solo ora) e la citazione di Luca Cavalli Sforza, le cui riflessioni, durante i nostri incontri nella sua casa a Stanford, combinate a quelle di Federico Faggin, tra i padri del microchip e della tecnologia touch, mi hanno ispirato.
    Come sanno le migliaia di persone che hanno visto uno dei miei storytelling, in giro per l’Italia o letto il mio libro (“Italiani di frontiera. Dal West al Web: un’avventura in Silicon Valley”, EGEA, 2015, prefazione di Gian Antonio Stella), il progetto nato e cresciuto lavorando sul ponte di storie, talenti e idee fra Italia e Silicon Valley, propone attraverso metafore ironiche chiavi di lettura per capire il paradosso di un Paese che sforna talenti ma spesso non sa farne tesoro in patria.
    E’ stato Faggin a esaminare a fondo la conflittualità assurda, diffusa in Italia, che arriva a realizzarsi nella sconfitta altrui, mentre Cavalli Sforza aveva indicato il Palio come sport simbolo di individualismo, in un Paese che fatica a collaborare e fare squadra. Così ho sintetizzato quel “sono contento di perdere purché tu perda” nella formula Sindrome del Palio di Siena.
    Online la prima citazione, dopo una mia conferenza, è comparsa nel gennaio 2010 in un articolo su Job24 (Sole 24Ore) http://jobtalk.blog.ilsole2…,
    mentre un anno fa questa formula con mia grande soddisfazione è finita addirittura nel titolo del Rapporto Eurispes 2016 sullo stato del Paese. http://www.italianidifronti… .
    Le citazioni non si contano, l’ultima solo qualche settimana fa, in una seguita trasmissione di Radio24. Mi fa grande piacere che questa formula eccentrica sia così entrata nell’uso comune e non mi aspetto ovviamente che ogni volta si citino autore o provenienza. Mi sono permesso di precisare solo perchè in questo bell’articolo la sua paternità è attribuita a qualcun altro, anche se questo qualcuno è una leggenda della scienza mondiale, che ho avuto l’onore di conoscere e intervistare.
    Vi ringrazio se questa mia riflessione potrà essere pubblicata a commento dell’articolo, sto a disposizione per ogni approfondimento.

    Roberto Bonzio

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