Viviamo in un Paese di vetuste ruine ma non ce ne bastono ancora per “vantarcene”…

Roba da rimaner sospesi, meravigliati, leggendo taluni media o ascoltando e mirando le immagini dai talk show a riguardo l’ennesima tragedia di Ischia. Il filo narrativo o discusso lascia il tempo ad altri disastri di affacciarsi ancora sugli spalti del pettegolare, piuttosto che sui criteri d’affrontare il problema incuria.

Viviamo in un Paese di vetuste ruine ma non ce ne bastono ancora per “vantarcene”: per fini turistici quelli dell’antichità da una parte, e dall’altra, quelli “attuali”, provocati dall’incuria, che ci fanno additare come fannulloni e disattenti ai fabbisogni impellenti del nostro territorio che cade a pezzi.

Siamo veramente malmessi. Non c’è bisogno di ripeterlo ogniqualvolta suona l’allarme in questo Paese, dove si ciarla ma non si “sente”; si vede ma si fa finta di non vedere, mentre l’unica affinità rimasteci, è quella che ci accomuna a quella parte del mondo che noi stessi, se pur con la “spocchiosa cravatta”, continuiamo a denigrare: il cosiddetto “Terzo mondo”,

La cosa più “raccapricciante” è quella di volerci inserire tra i “migliori”, ma senza averne alcun elemento e alcun diritto che possano dimostrarlo. In effetti non lo siamo: per una gragnola di ragioni.

Ci manca il contenimento “amorale” nell’ostentare ciò che non siamo. Non lo siamo a discapito di una parte, buona parte, con la testa sulle spalle e un cervello funzionante che agisce tra i tanti impedimenti, muovendosi come un veliero in balia di una stanziale burrasca e, per questi, è un’offesa; non lo siamo perché sono gli altri a farcelo notare continuamente e noi, presuntuosamente li ignoriamo; non lo siamo perché disattenti a certe problematiche a causa le innumerevoli violazioni o raggiri alle regole scritte (furbizie). Prevale, insomma, la propensione al lasciar “fare”, ma dietro compensi disonesti…

Qui non si parla di ignoranza nel modo di procedere o di scarsi tecnici a cui affidare un manufatto, basta guardare al ponte Morandi crollato e rifatto diligentemente ed in così poco tempo, dall’eccellente nostro architetto, Renzo Piano: non certamente l’unico nel nostro Paese, ad essere altamente competente.

La delinquenza la fa da padrona e, spesse volte, in combutta con le Istituzioni? Nessuno ce lo dimostra né ce lo mandano a dire, ma si vede: basta avere a che fare con la nostra, sempre infastidita burocrazia.

Coloro che siedono in Parlamento non prendono atto che dei propri problemi? Sono questi gli immeritevoli onorevoli che, tralasciando le impellenti necessità del popolo che rappresentano, affidano al tempo che scorre, la loro affezionata, comoda, lucrosa permanenza alle poltrone. Lo fanno tra sedute, convegni e chiacchiere scadute a non finire, riproponendoci una specie di amorfo, cacofonico, insulso refrain.

Nessuno s’aspetta, da questi “signori”, miracoli o prodigi di grazia. Ma almeno un po’ di coerenza etica nelle azioni e non solo vederli concentrarsi sui cospicui emolumenti percepiti ignobilmente.

Qui non si fa, di tutta l’erba, un “mazzo”: tra la gramigna spunta qualche “fiore”. Ma nell’insieme ci si continua a corbellarci come se fosse tutto uno scherzo, noncuranti dell’amaro in bocca e del travaso di bile che suscita questo andazzo di cose.

Emergesse almeno, quale timido ripensamento al disarmonico manufatto dell’uomo, un guizzo d’intelligenza, dopo essersi slegato da un cervello spugnoso, imbevuto di cinismo: sarebbe come una via di fuga al disastro annunciato…

Le sciagure che si susseguono in Italia a causa del clima e dei fenomeni naturali (terremoti, dissesti, geologici, manufatti decrepiti, acquazzoni improvvisi e quant’altro il cielo e la cattiva società ci riservano…), ci lasciano intendere che non sono ritenute situazioni gravi? È così, forse, che il ripetersi di questi eventi sia diventata: un’infinita, ignobile, carnevalata; un’emergenza da presa in giro; una burlesca, dove danzano ombre di menefreghismi, scippatori e pressapochismi.

Chi “sogna” un rinsavito futuro dell’uomo, non ha motivo di porre le armi del buon senso. Ma bisogna continui a tener sempre affilata la mente, affinché il farsi sentire divenga: un martello battente sull’incudine della ripetitività. Così da aumentarne, coi suoi “decibel”, la voglia di farla finita, con taluni falsi sordi. Scoprirli nel fargli mettere le mani sui timpani alla pari di Ulisse, suonato dal canto ammaliatore delle sirene.

Non sarà un’utopia. L’impegno profuso nel perpetrare le positività, alla fine, darà sempre i suoi frutti. Essere irriducibili, in certi casi, non significa essere pedanti, ma desiderosi di veder cangiare un sistema, sì logorante, inefficiente.

Ora è arrivato il primo Governo guidato da una donna. Tacciamo le nostre solite, perpetue rimostranze e aspettiamo gli sviluppi che si possono accendere, specialmente in questo tempo di profonda crisi generale. Chi deve operare in queste situazioni ha solo bisogno di farlo in serenità. “Produrre” ma con l’aiuto di tutte le Istituzioni e degli “uomini” di buona volontà affinché si riesca a veder la luce oltre il buio della malafede che si è venuto a creare nel pensiero dei più pessimisti.

Le opposizioni, secondo il buon senso, devono essere coscienti su quali temi opporsi ma dare mano libera alle buone idee proposte dalla maggioranza. Il mettersi come ostacolo in modo oltranzista non risolve i problemi ma li accentua a dismisura.

Bisogna cercare il filo conduttore che colleghi le idee sane e coinvolgerle tutte nello stesso flusso del “fare”, proprio come fa l’acqua di un fiume quando la si lascia fluire nel suo letto, dove non bisogna erigere manufatti (impedimenti): altro non sarebbero, che veri ostacoli a proseguire.

Riguardo a ciò che si è costruito in malafede e contro le regole, bisogna che siano tutti concordi nel sanamento, ma non di condono, di demolizione. Liberare il territorio da simili obbrobri. Nei disastri annunciati si potrebbe rinunciare a salvaguardare il manufatto ma non la vita che, in esso, trascorre.

“Col fuoco non si scherza”, dice un vecchio proverbio, ma forse con l’acqua, sì?

Cesare Pascarella, Poeta romano, in “La scoperta dell’America”, componimento scritto in versi, riferendosi al viaggio intrapreso sull’Oceano da Cristoforo Colombo con le sue tre Caravelle, a un certo punto scrive: – …ma l’acqua è peggio, assai peggio der foco/ Perché cor foco tu, se te ci sforzi, / co’ le pompe ce rivi tu a smorzallo/ma l’acqua, dimme un po’, co’ che la smorzi…?


Fonteacqua
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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.