Kim Lane Schepple, professoressa di sociologia, mercoledì 8 aprile durante una lezione ci spiegava chiaramente che il pluralismo delle istituzioni statali, e la loro indipendenza, sono fondamentali per una democrazia pronta ad attutire colpi sinistri.

Lettera da New York.

Mi sveglio quando la notte sta per finire. Ho un mal di testa orribile. Una sirena. La sento arrivare da lontano. Il suo grido si gonfia mentre passa per la 121st street, entra nella mia stanza e poi viene spezzato del palazzo che viene.

Si incanala su Amsterdam Avenue, correndo a sud verso l’ospedale Mt. Sinai. È una turbolenza che risucchia a se ciò che è rimasto lì fuori. E mentre corre, la strada diventa un caleidoscopio che ruota. Il suono ne frantuma i cristalli per aggrapparsi ai lampioni. Si arrampica sui palazzi, saltando di piano in piano, sbattendo alle finestre per fissare occhi che leggono spauriti. E poi si poggia sui vapori stradali che come ascensori lo portano oltre i tetti, sopra, in alto, oltre le antenne dei grattacieli. Per fermarsi di colpo, girarsi, e guardare giù. New York ne è impregnata. Primo violino di una orchestra cupa.

Ma chi sono gli autisti delle ambulanze? Chi sono i poliziotti fuori dall’ospedale? Chi sono i ragazzi del pronto soccorso? Chi sono gli infermieri che registrano i malati? Chi sono i dottori che li intubano? Flaminia, dottoressa specializzanda a Milano, mi scrive che è in ospedale quattordici ore al giorno. Mi racconta che sono stati redistribuiti nei reparti Coronavirus. Tutti. Dice che sembra di essere in guerra. Roberta, anche lei dottoressa specializzanda a Milano, aiuta per quel che può, mi dice che sono stanchissimi e che lavorano col timore delle denunce che verranno poi. Verranno tutelati? In America, lo stato di New York ha dichiarato che gli operatori sanitari avranno copertura totale fino alla fine della pandemia.

Questi individui, che continuano a far si che la ruota giri, sono lo Stato. Sono burocrati. Perché burocrati non sono solo gli odiati impiegati dietro una scrivania con montagne di scartoffie che prima di arrivare alla tua ci vuole un “favore” o un parente in comune. Burocrati sono anche gli infermieri, i postini, i dottori, i poliziotti e gli insegnanti. Sono il braccio visibile dello Stato. Michael Lipsky, professore di scienze politiche, spiega che gli impiegati statali che incontriamo nel quotidiano ci connettono direttamente ai livelli più alti della burocrazia, quelli che sembrano inarrivabili. Ogni incontro con un poliziotto o con un infermiere è un momento importante nel quale lo Stato compie il contratto con i suoi cittadini.

Gli odiati i burocrati, oggi più che mai, dimostrano l’importanza di una struttura che ci permette di conservare la libertà. Scendono in campo nonostante la pandemia, e ci danno servizi che possono salvarci la vita. Kim Lane Schepple, professoressa di sociologia, mercoledì 8 aprile durante una lezione ci spiegava chiaramente che il pluralismo delle istituzioni statali, e la loro indipendenza, sono fondamentali per una democrazia pronta ad attutire colpi sinistri. Perché se queste mancano, lasciano spazio a dittatori camuffati da benefattori, come Victor Orban, Primo Ministro Ungherese, che, lentamente ma inesorabilmente, ha legalmente eroso la democrazia del suo paese, dandogli un colpo fatale durante questa crisi. L’America soffre mentre il suo Presidente fa di tutto per smantellare istituzioni che possano frenare il suo ego. La struttura di ogni paese, oggi più che mai, mostra le sue forze o le sue debolezze. Cari burocrati, in questo tempo buio, nel bene e nel male siete colonna della nostra democrazia.

Ecco un’altra sirena che arriva. Passano a ritmo di ogni cinque minuti. Si uniscono ai pensieri di angoscia, mentre entrambi fluttuano nel vuoto di una città spenta. Poi un suono vuoto. I camion battono la strada con baritono costante. Woooom. Burocrati lì fuori che suonano in orchestra affinché la speranza non si spenga.

Silenzio. Silenzio per davvero: mi accorgo degli uccellini. Il loro cinguettio parte con le prime luci dell’alba. Si alza il coro sopra il Woooom dalla strada. Un camion suona il trombone. Ed ecco un’altra sirena. Woooom. Il silenzio. Solo cinguettio. E’ Primavera. Voglio uscire fuori. All’improvviso il cinguettio si trasforma in canzone di sirene voraci al largo di un mare nero di sofferenza. Chiedo ai miei coinquilini di legarmi forte alla sedia. La primavera chiama per una passeggiata, per un po’ di sole sulla pelle. Ma non mollare. Lascia che la città assorba il canto. E che ci lasci in pace mentre siamo legati.

L’ambulanza va via. Si sentono solo uccellini che cinguettano felici. Anche loro (mi piace fantasticare) pagano rispetto alle ambulanze che continuano a correre instancabilmente per la città.

La foto è di Agostino Petroni