Basato sulla pièce teatrale di Dennis McIntyre, il nuovo film di Johnny Depp
“Modì. Tre giorni sulle ali della follia” è un film che segna il ritorno dietro la macchina da presa di Johnny Depp, venticinque anni dopo il suo primo film da regista, “Il coraggioso”. Dopo gli scandali processuali per il suo matrimonio con Amber Heard, infatti, la star hollywoodiana fa di nuovo capolino nel cinema che conta, narrando 72 ore di vita di Amedeo Modigliani, affidando il ruolo da protagonista a un’icona italiana come Riccardo Scamarcio, e avvalendosi dell’amicizia di Al Pacino nella parte di Maurice Gangnat, due scelte decisive a livello commerciale che fanno, sicuramente, centro al botteghino.
Basato sulla pièce teatrale di Dennis McIntyre, Modì è una pellicola che elude il confine che separa costruzione e distruzione, riesce a stento a focalizzarsi sui chiaroscuri del cinema muto per abbracciare l’incombente Morte dei soldati mutilati durante la Prima Guerra Mondiale, nella Parigi del 1916, estrapolata da una Budapest utilizzata come location a basso budget. Le paturnie mentali di Modigliani sono il riflesso dello stile tipico di Depp che, in alcuni frame, sembra ricalcare la mano di Kusturica, soprattutto quando ricorre ai ritmi incalzanti e caricaturali della colonna sonora di Sacha Puttnam e delle figure dei suoi amici Utrillo e Soutine.
A differenza del Caravaggio di Michele Placido, qui Scamarcio affronta la propria dannazione in maniera smisurata, ammiccando all’instabilità delle regole, quel rifiuto dell’autorità che allunga colli e mani di un pittore e di uno scultore, la maieutica che dal marmo tira fuori volti animati, come quello di Rosalie (Luisa Ranieri) e della sua musa Beatrice (Antonia Desplat) a cui l’artista livornese dedica, con irriverenza e contemplazione, versi di Dante che catturano il pubblico in un caos impresso di genio e amore:
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.