
Anche lasciando da parte ogni giudizio il fatto è tragico. Il 2 giugno 2019, in casa propria, è deceduta una ragazza olandese Noa Pothoven, aveva solo 17 anni. Le principali testate giornalistiche italiane solo il 4 giugno hanno parlato di morte assistita autorizzata dall’Olanda. Eutanasia.
Le ragioni di una scelta così radicale sarebbero legate alle profonde sofferenze emotive e psichiche della ragazza che ad 11 anni aveva subito una molestia e solo due anni dopo uno stupro, da due uomini. Un dolore che aveva tenuto segreto a lungo e che aveva minato la sua salute psichica. Soffriva infatti di anoressia, depressione e disturbo da stress post-traumatico. Aveva persino scritto un libro dove raccontava la sua sofferenza “Vincere o imparare”.
Questa morte avrebbe un che di sensazionalistico perché solo qualche giorno prima su Instagram la ragazza aveva condiviso il suo ultimo post che annunciava il suo futuro decesso. “Vado dritta al punto: entro massimo 10 giorni morirò. Dopo anni di lotte, la lotta è finita. Ho smesso di mangiare e di bere e dopo difficili confronti è stato deciso che potrò morire perché la mia sofferenza è insopportabile”.
Marco Cappato, esponente dei radicali e tesoriere della Associazione Luca Coscioni che si batte per l’eutanasia in Italia ha smentito quanto affermato dai giornali italiani.
Non vi sarebbe stata alcuna eutanasia, ma la ragazza avrebbe smesso di bere e mangiare lasciandosi morire a casa con il consenso dei familiari.
La conferma di tale smentita sembrerebbe arrivare dalle pagine del giornale olandese De Gelderlander datate dicembre 2018 dalle quali risulta chiaro che la ragazza aveva provato più volte a fare domanda per ricorrere all’eutanasia, senza mai ottenerla. Noa stessa aveva spiegato “La domanda è stata rifiutata perché sono troppo giovane e avrei dovuto prima affrontare un percorso di recupero dal trauma psichico fino ad almeno 21 anni”.
Ciò che probabilmente ha scatenato il fraintendimento è che effettivamente l’Olanda è uno dei pochi paesi che permette l’eutanasia per i minorenni. Nello specifico possono ricorrere alla morte indotta tutti i ragazzi a partire dai 12 anni che soffrano per motivi fisici o psichici.
Il motivo del grande scalpore che ha generato la notizia della presunta concessione di eutanasia è che tale episodio rischiava di diventare un precedente per richieste affini, oltre che un pericoloso esempio da seguire vista l’epoca social in cui viviamo.
Premettendo che è davvero impossibile giudicare una decisione così estrema, soprattutto se quella sofferenza non l’abbiamo provata con la nostra pelle, ciò che possiamo fare è riflettere sul tema che un determinata scelta solleva.
Ciò che sconvolge particolarmente è la difficoltà di immaginare una diciassettenne, sana nel corpo capace di lottare con tanta forza per la propria morte, e non essere capace di usare quella stessa forza per scegliere la vita. Non riuscire a vedere un futuro.
Certamente non si può imporre a nessuno di diventare un esempio.
C’è chi soffre di gravi malattie degenerative e non regge il dolore, c’è chi invece lotta e crede che la vita vada vissuta al suo massimo indipendentemente dalle difficoltà. Uno su tutti Stephen Hawking, ma non si può chiedere a tutti la stessa forza d’animo.
Tuttavia questo, come ogni suicidio di minorenni, reca stampato a chiare lettere la parola “sconfitta” per la nostra società, quella umana che non è stata capace di trattenere e restituire fiducia ad anime tanto fragili.