“Era un po’ che quel monologo a due voci attraversava i pensieri di Federica. A volte sembrava prevalere la Fede di sempre. Altre volte, quel che le restava in bocca era il sapore amaro del la mancanza”

Sempre il sole, ad accarezzare silenzioso la pelle. All’alba, il sole non brucia. Illumina senza accecare. Riscalda appena. Inebria.

Col sole, le onde del mare. Quiete, appena udibili, che lavano l’anima.

E poi il vento. Una brezza leggera, che ti sfiora e riempie i polmoni.

Lo scoglio di Federica è sempre lì, da stagioni e stagioni, una stagione dopo l’altra.

È a fior di mare. Isolato. Quasi un’isola, sul braccio di porto della baia.

Federica ci ritorna sempre come in una chiesa. Ha un che di religioso, vedere sorgere il sole, in silenzio e solitudine. Sul mare.

Sono questi i momenti in cui Federica ritorna alla vita passata e presagisce quella futura.

Ricorda gli entusiasmi, le visioni, la voglia di spaccare il mondo. E avverte le delusioni, le sconfitte, le sconsolate amarezze. È consapevole delle volte che avrebbe voluto rimangiarsi le scelte del cuore. Percepisce quanto sia triste la lusinga di rinnegare una vita. Si dice che non è il caso di perdere il sorriso alla sua non più tenera età, anche se sarebbe la tentazione più facile, una volta tagliato il traguardo degli “anta”…

«Federica, tu sei la persona che stavamo aspettando. Vogliamo contare su di te per il nostro progetto di espansione. Siamo certi che non potrebbe esserci una scelta migliore»: le disse così, un giorno, tanto tempo prima, il suo capo, che era, al contempo, boss, confidente e amico. E che avrebbe voluto portarsela a letto. Solo che Federica non ci stava. Voleva giocarsi le sue chances e non le sue cosce. C’era, però, Silvia. Che non la pensava allo stesso modo. Era brava, Silvia, molto brava. Brava con le cosce.

E fu così che: «Scusa, Federica, ma ci abbiamo ripensato. È che ultimamente ti vediamo un po’ tesa, poco concentrata. Abbiamo preso in considerazione l’idea di puntare, per il momento, su Silvia e il suo carattere così solare, aperto, …socievole, ecco! Ma sono sicuro che ti rifarai. Vedrai, per te ci sarà un’altra occasione. E poi: sai bene che puoi sempre contare su di me. Basterebbe una tua parola. Mi piacerebbe tanto poter approfondire la nostra amicizia anche fuori del lavoro. …Non è che ti va di uscire insieme, una sera di queste?».

Ma Federica, quella parola, non la disse mai. E non uscì con quel porco. Né fece carriera.

Oggi, mentre la freschezza della pelle l’abbandona, si chiede se sia stato giusto. E la cosa che più la fa soffrire non è il rimpianto: è il fatto stesso di porsela, quella domanda. Federica sa che è una domanda stupida. Sa di aver fatto la cosa giusta. Eppure non può fare a meno di avvertire il rammarico. Nel tempo, di occasioni come quella se ne è viste passare tante sotto gli occhi, ma Federica non ha mai accettato di fare carriera “a tutti i costi”. Altre e altri, sì. E sono andati avanti. Lei, invece, è rimasta al palo. Come un purosangue che si rifiuta di partire, dopo lo start. Anche se, in realtà, lei avrebbe voluto correre, scalpitava per farlo, ma poi, puntualmente, qualcuno le aveva fatto uno sgambetto, pur di azzopparla.

«Ho fatto bene?» – «Stupida, certo che sì!»

Photo credits: Paolo Farina

«Avrei dovuto cedere? In fondo, cosa vuoi che sia un po’ di “saper vivere”? Magari mi sarebbe bastato apparire come un “umil lecchino di gonne regali”: non è Carducci che avevano definito così?».

«Sì, è un titolo che gli affibbiò il suo contemporaneo Mario Rapisardi, per la sua ode alla Regina Margherita. Mario fu poeta e docente universitario, proprio come Carducci, ma meno celebre di lui, fosse per i suoi modi rudi, forse per il suo furioso amore di indipendenza. Pensa, sul suo biglietto da visita aveva fatto stampare: “Mario Rapisardi non iscrive nei giornali; non accetta nomine accademiche, né candidature politiche ed amministrative; non vuol essere aggregato a nessun sodalizio; non ha tempo di leggere tutti i libri che gli mandano, molto meno i manoscritti; né di rispondere a tutti coloro che gli scrivano. E di ciò chiede venia ai discreti”».

«E così Rapisardi non se lo fila nessuno, mentre Carducci passò alla storia come “poeta vate”. Lo vedi? Magari a me sarebbe bastato molto meno, per esempio, una scopata…».

«Intanto, ricordati che anche Rapisardi passò alla storia come “vate etneo” e, poi, non trascurare il fatto che al suo funerale, a Catania, parteciparono non meno di 150.000 persone. La verità, però, è un’altra: non è questione di scopare oppure no. C’è di mezzo la tua dignità. E la tua libertà. Quella non ha prezzo e tu lo sai: così come sai che, tutte le volte in cui non ti sei svenduta, hai fatto la scelta più giusta».

«Sì, ma…».

«Sì, ma cosa?»…

Era un po’ che quel monologo a due voci attraversava i pensieri di Federica. A volte sembrava prevalere la Fede di sempre. Altre volte, quel che le restava in bocca era il sapore amaro della mancanza.

Come quando hai dato tutto e ti senti vuota. Come quando ti ha ferito l’ingratitudine. Come quando paragoni la tua vita a quella di uno scoglio isolato, conteso d’estate e abbandonato d’inverno, sotto l’imperversare delle intemperie…

Federica si sfilò pantaloncini e maglietta per affogare i suoi pensieri tra i flutti. Avanzò a lungo, con le sue bracciate regolari sfiorate da onde leggere. Ritornò a riva. Abbracciò il sole, lo respirò, risentì il vento, il cullare del mare. E pensò: «No. Non ho proprio sbagliato. È proprio bello vivere così. Come il sole. Che illumina e non chiede. Come il mare. Che ritorna e non si fa attendere. Come il vento. Che accarezza e non si fa prendere».

Federica salutò lo scoglio. Sul suo volto si distese un sorriso. Come quello di un bimbo che ritrova la mamma.


FonteFoto di copertina: photo credits di Giuseppe Davide Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...