Intervista all’educatrice Valeria Mucci

Scardinare i muri della propria coscienza è un esercizio praticato da pochi, ridurre le distanze tra noi e chi ci sta accanto è, invece, una missione. L’autismo ha, da sempre, suscitato grande interesse da parte di accreditati esperti, ma gli studi scientifici a cui è stato sottoposto il fenomeno non hanno mai rivelato l’infinito mistero che si cela dietro due occhi innocenti, occhi di chi sa guardare altrove, occhi che hanno conosciuto mondi lontani ma che non hanno ancora trovato la maniera per descriverceli. Chissà, forse in una società dove si presta attenzione all’abilità comunicativa, essere, orgogliosamente e incoscientemente, silenti ci scandalizza, come se le parole fossero più importanti dei sentimenti, come se la realtà fugasse ogni onirica evasione. Sul volto di Valeria ho scorto i segni dell’amore verso i più deboli, un amore incondizionato, vero, una passione che trascende le responsabilità lavorative per approdare su lidi impregnati di forza e tenacia. Valeria è una roccia, uno scoglio a cui aggrapparsi se si è in alto mare. Allungo i miei tentacoli, mi stringo a lei, e curioso le chiedo:

Ciao Valeria. Cos’è l’autismo?

L’autismo è un disturbo dello sviluppo, anzi più specificatamente potremmo definirlo un disturbo dello sviluppo mentale. Molti associano questa particolare patologia esclusivamente all’età infantile in quanto si riesce ad individuarne i sintomi attorno ai 2/3 anni, ma ahimè è una disfunzione mentale che accompagnerà il soggetto anche nell’età adulta. È molto facile confonderla con altre sindromi poichè presenta svariate caratteristiche con sfumature più o meno marcate a seconda dell’età o del soggetto stesso. Attraverso innumerevoli ricerche effettuate potremmo affermare che ci troviamo dinnanzi ad un caso di sindrome autistica quando sono presenti tre caratteristiche fondamentali nella persona: l’isolamento sociale, ovvero la difficoltà di relazionarsi con i propri coetanei mostrando un disinteresse oggettivo nei confronti persino, della loro esistenza (ricordiamo che la parola autismo deriva proprio da “autos” ovvero “sè”);  scarsa comunicazione; stereotipi e e ripetitività nei gesti e nel linguaggio. Questo corrisponde ad un atteggiamento ossessivamente ed ansiosamente costante, come dondolii, fisime, ecc..

È possibile fermare in tempo l’incedere del disturbo o è una patologia destinata ad accompagnare costantemente l’individuo anche in età adulta?

Purtroppo non c’è modo di guarire dall’autismo. Ma la cosa più difficile è combattere con l’ostilità di un genitore nell’accettare il fatto che il figlio non sia l’essere perfetto. Ovviamente prima si interviene, più facile sarà il percorso educativo per il bambino. Quando diagnostichiamo un caso di sindrome autistica nei bambini molto piccoli, si tratta sempre di una probabilità, ovvero non esistono ancora strumenti che ci evidenzino la presenza certa della patologia. Però certi comportamenti sono inequivocabili e, quando i bambini vengono catapultati in un ambiente diverso, quale l’asilo, le maestre, vedendoli a contatto con una comunità, sono le prime ad accorgesi che qualcosa non va. Il primo passo sarebbe quello di intervenire con interviste sottoposte da professionisti che chiariscano i tipici comportamenti genitoriali nei rapporti quotidiani con i proprio figlio. Man mano che il paziente cresca, sarà facile giungere ad una diagnosi certa. Come dicevo prima non si può assolutamente guarire dalla sindrome autistica ma con le giuste misure sarà possibile ridurre (per quanto possibile)  l’incidenza della patologia.

Esiste una classificazione della patologia che favorisca l’inserimento dei casi specifici in diversi livelli di gravità? Pensiamo, ad esempio, alla Sindrome di Rett, la Sindrome di Asperger o il disturbo disintegrativo dell’infanzia.

Ovviamente quando parliamo di autismo intendiamo un disturbo specifico. Esistono altre tipologie simili che potrebbero trarci in inganno nella tenera età come ad esempio la sindrome di Aspenger, di Rett, dell ‘X fragile’, ma queste hanno caratteristiche proprie. Ad esempio la sindrome di Aspenger è stata definita come “autismo ad alto funzionamento” ovvero sono presenti attributi simili all’autismo ma con una gravità meno rilevante anche perchè molto spesso questa non è accompagnata da un ritardo mentale. Oppure ancora la sindrome di Rett è invece molto più invasiva dell’autismo in quanto si presenta estremamente dannosa a livello cerebrale e fisico, al contrario dell’autismo che non presenta alcune anomalie nella parte corporea, anzi, i soggetti con sindrome autistica sono, spesso, dotati di una bellezza angelica e fuori dal comune tanto da non poter mai immaginare che dietro quella perfezione possa celarsi un errore. Comunque gli studiosi affermano che in realtà tutte le patologie sopra elencate non siano altro che sfumature di caratteristiche diverse ma con lo stesso problema di fondo, ovvero il danno cerebrale.

Ammesso che ce ne siano, quali potrebbero essere le cause dell’autismo?

Le cause dell’autismo sono ancora oggi un mistero ed in questo senso le ricerche sono bipolarizzate in cause genetiche o ambientali. Sono stati effettuati degli studi a livello familiare cercando di capire se ci fosse una qualche ragione congenita. In realtà non hanno riscontrato nulla che potesse accertarlo, è molto difficile trovare nello stesso nucleo familiare due casi di autismo, a meno che non si tratti di gemelli omozigoti. Invece altri ipotizzano che questo derivi da una questione metabolica, cioè quando l’organismo non riesce a metabolizzare la fenilalanina, presente, tra l’altro, in moltissimi alimenti. Oppure ancora hanno parlato del trauma da parto, di vaccini e dell’autismo provocato dalla rosolia. La più grande assurdità, personalmente, è stata quella di leggere un articolo in cui si parlava dell’autismo causato dalle “madri frigorifero”, causato dalla noncuranza da parte delle madri professioniste e quindi l’arrivo di una punizione divina. Ma come ben sappiamo i traumi emotivi sono ben diversi da quelli cerebrali e l’autismo insorge in tutti i paesi del mondo e nelle più disparate situazioni familiari, quindi anche questa tesi a mio parere può essere bocciata alla grande.

Di recente, hai maturato un’esperienza tirocinante e professionale in una Scuola di Prima Infanzia. Stando a stretto contatto con i bambini, hai riscontrato differenze sostanziali fra la teoria e la pratica pedagogica?

La mia esperienza è stata assolutamente positiva. Parlo da grande amante dei bambini quindi sono di parte. Per quanto possa sembrare facile non lo è affatto sia dal punto di fisico ma soprattutto psicologico. Devi concentrarti su te stessa prima di tutto perchè per loro sei un esempio da seguire e poi ai tanti pericoli in cui potrebbero incorrere. La preparazione pedagogica è essenziale all’interno di centri educativi, se poi vogliamo parlare di “parcheggi per bambini” allora siamo tutti in grado di intrattenerli. Un insegnante deve educare l’alunno ad essere autonomo, a condividere e deve, soprattutto, facilitargli l’apprendimento con strumenti propedeutici alla sua individualità.

Progetti futuri?

La speranza è quella di sentirmi utile e cogliere i frutti del mio percorso. La questione economica passa in secondo piano davanti alla convinzione di apportare un oggettivo beneficio alla vita delle persone. L’impegno non manca, la vita farà il resto.