Introdotto, per la prima volta, nel 2003, il voucher assicurava la regolare retribuzione dei cosiddetti “mini-lavori”, prima che la cosa sfuggisse di mano.

Ripetizioni scolastiche, stagioni turistiche, addetti pulizia: lo scopo del voucher è sempre stato quello di legalizzare il pagamento di prestazioni lavorative, altrimenti remunerate in “nero”. Oggi, però, secondo gli ultimi dati dell’INPS, l’impiego del voucher sta assumendo proporzioni sconsiderate e l’uso improprio di questo strumento rischia, seriamente, di compromettere l’economia nazionale, basata, sempre più, su piccoli lavoretti “accessori”.
Questi ticket da dieci euro lordi, invece di estrarre dalle sabbie mobili il sistema produttivo italiano, hanno sommerso i contribuenti nel fango del fango di una vita senza diritti.

Mentre, infatti, negli anni immediatamente successivi alla loro nascita, il numero dei voucher era in qualche modo limitato, oggi è cresciuto in maniera vertiginosa, con una percentuale vicina al 60% nel 2015, oltre ad un ulteriore 30% nei primi mesi del 2016. A tal proposito, fazioni rilevanti della maggioranza a sostegno del governo Gentiloni chiedono una repentina modifica di quello che può definirsi uno dei punti cardine della rivoluzione renziana.

Rivoluzione tuttavia non proprio compiuta se si considera che, nonostante i 121 milioni di buoni lavoro venduti da gennaio ad ottobre, la disoccupazione nel Paese sfiora i tre milioni di unità. Decisivo, a proposito del destino del mercato del lavoro italiano, sarà il parere della Corte Costituzionale che, il prossimo 11 gennaio, si pronuncerà in merito all’accettazione dei tre referendum sul lavoro, voluti fortemente dalla Cgil. Susanna Camusso ha fatto sapere di essere pronta a qualsiasi tipo di battaglia pur di ripristinare l’articolo 18, cambiare la normativa sulla responsabilità solidale negli appalti e, appunto, favorire l’abolizione dei voucher. Le ultime proiezioni, venute fuori da Palazzo Chigi, indicano chiaramente – a netto dall’eventuale referendum – la non disponibilità a depennare l’intero Jobs Act, aprendo, tuttavia, la strada ad un’oculata rettifica nell’utilizzo dei ticket il cui tetto massimo di introiti sarebbe riportato da sette a cinquemila euro. Sul fronte diritti invece, l’opera legislativa sarà mirata a persuadere i datori di lavoro a stipulare regolari contratti con i loro dipendenti, in caso contrario dovranno rispondere a sanzioni pecuniarie.

Come sempre il tempo avrà l’ultima parola, si spera tuttavia che si riesca a recuperare uno strumento nato con i migliori propositi prima che ci sfugga completamente di mano.


Crediti fotoPixabay
Articolo precedenteIl papa senza sindrome di Micol
Articolo successivoBudapest non dimentica
Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.

1 COMMENTO

  1. Recentemente ho visto usare i voucher da pubbliche amministrazioni per non regolarizzare operai e imprenditori preferire di gran lunga pagare pene pecuniarie piuttosto che regolarizzare i loro dipendenti.
    Assurdo, ma è così.

Comments are closed.