Ecco il papa che di notte dorme “come un legno”, cioè profondamente, e che di giorno accoglie tutti “senza sorrisi di cartone”, cioè falsi: spiega ai bimbi cos’è la gioia grazie al ballo, e come deve essere la Chiesa grazie al calcio. Sostiene, insomma, che “urge farsi piccoli per diventare grandi”.
Se potessi consigliare un libro strenna, capace non solo di lenire i rigori del tempo storico che viviamo o quelli climatici del tempo che attraversiamo, ma anche di favorire la primavera dello spirito che auspichiamo, suggerirei “L’amore prima del mondo”: ha Jorge Mario Bergoglio come autore. Papa Francesco! Più sorprendente che mai, in dialogo con i bambini.
“Caro papa Francesco, se potessi fare un miracolo, quale compiresti? Ti voglio bene, William”.
William è un bambino statunitense di 7 anni. La sua domanda, insieme ad altre trenta, viene selezionata fra centinaia raccolte in tutto il mondo, nelle grandi città come nei villaggi e nei campi profughi, per dare corpo al progetto dell’editrice Loyola Press: interpellare il pontefice con domande essenziali, dirette, sintetiche, senza filtri e senza vie di fuga: come sanno fare solo i bambini. Accompagnate da un disegno. Per scandagliare fino in fondo l’animo, i propositi, la fede del pontefice.
Il papa accoglie l’iniziativa, interpellato da padre Antonio Spadaro come latore delle “epistole infantili”, e risponde con parole altrettanto semplici e sincere.
“Caro William, guarirei i bambini. Non sono riuscito ancora a capire perché i bambini soffrano. Per me è un mistero. M’interrogo su questo. La mia risposta al dolore dei bambini è il silenzio, oppure una parola che nasce dalle mie lacrime. Dunque, se potessi fare un miracolo, guarirei tutti i bambini”.
Così dicendo, manifesta la sua umanità, evidenzia la sua povertà, e confessa il principale black out teologico che attraversa la sua fede.
Ma le sorprese si moltiplicano. Chiede il cinese Wing, di 8 anni, al pontefice che di anni ne ha 80 compiuti: “Ti piace giocare a calcio? Buona salute!”.
E papa Bergoglio risponde con immediatezza: “Mi piace molto il calcio. Io, però, non ho mai giocato partite serie, perché il mio piede non è agile. Ma mi piace tanto vedere giocare le squadre. Sai perché? Perché vedo che è un gioco di squadra! Se un giocatore vuole giocare da solo, perde, e non è amato dai suoi compagni. Invece, si gioca bene al calcio quando si gioca insieme, quando si cerca il bene di tutti senza mettersi in mostra. Così dovrebbe essere anche nella Chiesa”.
L’albanese Prajla, 6 anni, lo interroga così: “Quando eri bambino, ti piaceva ballare?”.
“Tanto, cara Prajla. Ma proprio tanto tanto! Mi divertiva tanto! Vedi, ballare è esprimere la gioia, l’allegria. Quando uno è triste non può ballare. Generalmente i ragazzi hanno una grande risorsa: essere contenti. E per questo quando si è giovani si balla, e si esprime l’allegria del cuore. Persino il grande re Davide, quando conquistò Gerusalemme e ne fece la Città Santa, vi fece trasportare solennemente l’Arca dell’Alleanza e si mise a ballare davanti ad essa. Non si preoccupò delle formalità, si dimenticò di doversi comportare come un re e si mise a ballare come un ragazzino! Ma Micol, sua moglie, vedendolo dalla finestra saltellare, lo derise e lo disprezzò nel suo cuore. Questa donna era malata di serietà: io la chiamo sindrome di Micol. Così la gente che non può esprimere l’allegria cristiana, sta sempre seria. Ballate, voi che siete bambini, così non sarete troppo seri da grandi!”.
E quanto dichiara a Ryan, João, Natasha, Yfan? Lettura sorprendente!
Ecco il papa che di notte dorme “come un legno”, cioè profondamente, e che di giorno accoglie tutti “senza sorrisi di cartone”, cioè falsi, e testimonia Cristo con gesti di misericordia, e fa carezze ai bimbi, e sosta specialmente con chi è nel disagio: spiega come deve essere la Chiesa grazie al calcio, e cos’è la gioia grazie al ballo.
Una catechesi inedita, di rara efficacia. Da chi sostiene con fermezza che “urge farsi piccoli per diventare grandi”.