A proposito del caso Light-Up, in attesa della sentenza del Consiglio di Stato

Uno degli elementi valoriali fondanti di una società democratica, basata sulla valorizzazione della cultura e della conoscenza, è rappresentato dalla libertà e centralità della ricerca scientifica; un principio questo peraltro enunciato negli articoli 9 e 33 della Carta Costituente. Capita invece, sempre più spesso, che la ricerca scientifica, i suoi metodi e le sue regole siano costantemente sotto attacco da una pervicace disinformazione.

In ambito biomedico preoccupa la vicenda relativa ad un progetto italiano vincitore del prestigioso European Research Council (ERC). Il progetto, dal titolo Light-Up, si propone di comprendere i problemi visivi che insorgono a seguito di piccole lesioni cerebrali ed a come porvi rimedio, e prevede tra l’altro una fase di sperimentazione su macachi. Ad oggi i ricercatori, oggetto da giugno 2019 di una continua e pericolosa campagna di disinformazione ad opera di associazioni animaliste, a partire dalla LAV, sono stati “premiati” dal sistema Paese con: minacce di morte, ripetute ispezioni amministrative, infiniti ricorsi giudiziari culminati in uno stop cautelare da parte del Consiglio di Stato, puntualmente sconfessato dalla decisione di merito del Tar del Lazio.

I supremi giudici amministrativi della Terza Sezione del Consiglio di Stato, con apodittiche considerazioni ascientifiche, sostenevano che quella ricerca andava sospesa, nonostante il progetto Light-up avesse superato il vaglio ed avesse ottenuto regolari autorizzazioni dallo European Research Council, dal Ministero della Salute (previa acquisizione del parere del Consiglio Superiore di Sanità, il massimo organo di consulenza tecnico-scientifica del Ministero) e dall’OPBA (Organismo Preposto al Benessere degli Animali) dell’Università di Parma, dove si svolgono le sperimentazioni.

La “resilienza” – la stessa a cui l’Europa ci richiama per fronteggiare la pandemia –  dei ricercatori e la prova dei fatti, tuttavia, hanno portato ad un pronunciamento favorevole alla prosecuzione del progetto di ricerca da parte del tribunale amministrativo regionale (TAR), il quale ha stabilito inequivocabilmente che “le censure dedotte dalle parti ricorrenti [LAV] si rivelano generiche e prive di fondamento in fatto e in diritto”.

Ma non è bastato neppure questo ulteriore pronunciamento e giudizio di merito del TAR per porre fine ad una situazione che sembra decisa a sovvertire fino in fondo quegli elementari principi di merito e di diritto.

Oltre all’evidente danno per i ricercatori coinvolti nel progetto Light-Up, questa vicenda, così come i continui attacchi e le continue immotivate restrizioni imposte al mondo della ricerca, ha evidenti ripercussioni sulla credibilità e competitività del nostro sistema paese; è un attacco diretto alla Ricerca che spingerà sempre più i tanti ottimi ricercatori italiani a lasciare l’Italia e portare i loro progetti di ricerca e i relativi finanziamenti, ottenuti vincendo competizioni al vertice della ricerca europea, in altri paesi.

L’Italia, inoltre, si trova già nella gravosa situazione di dover affrontare una procedura d’infrazione per l’errato recepimento della Direttiva Europea 63/2010, volta a stabilire misure relative alla protezione degli animali utilizzati a scopi sperimentali. Infatti, unici in Europa, abbiamo tradotto tale Direttiva nel nostro ordinamento aggiungendo ulteriori, immotivate restrizioni, di anno in anno sottoposte a moratoria per far sì che la ricerca in quegli ambiti possa continuare (Decreto Legislativo n. 26/2014). Questo ci pone in una condizione non solo di inferiorità, ma anche di manifesta inaffidabilità nei confronti dei colleghi europei e, presto, potrebbe precludere l’accesso a fondi comunitari su temi vitali per la salute pubblica, e persino nell’utilizzo dei tanto attesi fondi per ricerca e sviluppo legati all’emergenza COVID-19 (Next Generation EU o Recovery Fund), rendendo ancora più difficile la situazione della ricerca italiana (Università ed enti di ricerca, policlinici, IRCCS, imprese biotech), di tanti lavoratori e ricercatori. Scoraggerà alcuni dal rientrare in Italia, ne spingerà altri ad abbandonare il nostro Paese. L’impronta irrazionale e ideologica che anima queste iniziative avrà come inevitabile risultato quello di precludere e ostacolare anche la ricerca e validazione di modelli alternativi alla sperimentazione animale, essendo i due approcci inscindibili in ogni seria strategia metodologica.

Uno stato di diritto non può far prevalere e lasciare spazio alla sola “narrazione animalista”, una voce ideologica e antiscientifica. I tanti giovani, che lavorano nel mondo della ricerca con serietà, competenza e nel rispetto delle leggi e regolamenti e che contribuiscono al progresso culturale e scientifico del nostro Paese, meritano molto più rispetto.

Se lo stravolgimento dei giudizi di merito enunciati da organismi autorevoli e competenti dovesse essere sempre e costantemente perpetrato avremmo come risultato l’ulteriore logoramento dei principi di libertà di ricerca (art. 33 Costituzione) su cui si fonda l’Università pubblica: una condanna alla “marginalità sociale” e alla “irrilevanza politica”.

Firmatari:

Antonio Musarò, Università Sapienza Roma

Elisabetta Cerbai, Università di Firenze

Micaela Morelli, Università di Cagliari

Michele Simonato, Università di Ferrara e Università San Raffaele, Milano

Marco Onorati, Università di Pisa

Alexandra Battaglia-Mayer, Università Sapienza Roma

Roberto Caminiti, Coordinatore del Gruppo operativo sulla Sperimentazione animale del Patto Trasversale per la Scienza

Paolo Calabresi, Presidente della Società Italiana Neuroscienze

Fiorenzo Conti, Università Politecnica delle Marche e Presidente Società italiana di Fisiologia


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