
Egologia sociale e causalità spirituale ai tempi dell’amore libertario
Soddisfazione dei bisogni e dei sogni, libertà dal costruttivismo ideologico e psicologico delle masse, disalienazione lavoristica, emancipazione individuale da proiettare in società come emancipazione ambientale, stare bene come capita, non pensare per non pesare sulle pieghe chiaroscure del proprio io: cari lettori, tra questi vostri eventuali desideri, quale preferite? Okay, riformulo la domanda inserendo la grande assente.
Ricominciamo. Soddisfazione dei bisogni e dei sogni, libertà dal costruttivismo ideologico e psicologico delle masse (non vi addormentate!), disalienazione lavoristica, emancipazione individuale ed ambientale, stare bene come si può, non pensare quale antidoto per restare leggeri, sessualità con orgasmi plurimi-progressivi-evolutivi come anticamera del nirvana: quale vocazione prediligete, qui ed ora?
Qualsiasi sia la vostra risposta, non possiamo pensare a noi stessi senza prima interconnetterci con il mondo esterno, circostante, così come esso è qui ed oggi. L’essere è, non in quanto tale – in quanto essere – ma in quanto entità, viva ed in divenire, che assorbe e ricrea identità biopsichiche attraverso l’interscambio nel fare (e non nel mero avere) con le realtà circostanti. Domanda ed offerta biopsichiche tra individui entrano in relazione dialettica per attrazione, per ricercata indifferenza, per repulsione, o per altre varianti a sfumature plurime. L’essere è ciò che vive, sviluppando la propria personalità individuale, nonché sociale, in dinamico contatto con gli elementi determinanti o anche solo incidenti della dimensione organizzativa intorno a sé. Così le concezioni tradizionali e quelle avanguardistiche sul sentimento, sul denaro, sulle origini familiari o etniche, e così via, incidono sulle sfumature più profonde dell’io pregnante, profondo.
L’io sintetico (che si trova a valle rispetto alla fonte primaria nonché magmatica dell’io pregnante a monte), ossia l’io che tende a farsi oggetto di cognizione erga omnes, invece, va a semplificare in un’area appercettiva di comodo evolutivo tutte le informazioni e tutti i formanti strutturali provenienti dall’identità profonda. Nell’area identitaria dell’io sintetico, che esce fuori come io socializzabile, giungono gli impulsi che originano in modo immediato ed inconsapevole dagli abissi dell’io pregnante. Da un lato c’è l’io pregnante o profondo, con le sue pulsioni ed informazioni fondamentali, e dall’altro lato c’è l’io che sintetizza i formanti carsici dell’intimo sentire, per restituire una unitarietà identitaria al soggetto.
Non sempre l’individualità psichica tende ad una unitarietà sintetizzata, ed in tal caso possono manifestarsi disfunzioni o più semplicemente incoerenze essenziali dell’io. Nella sfera dell’io primario-pregnante, invece, è fisiologica una prospettiva poliegocentrica delle idee e delle scelte, poiché è nel percorso evolutivo dall’io pregnante di base all’io sintetico che si realizza l’obiettivo olistico della personalità coerente.
Dato il mio modesto modo di procedere in questi settori, taccio la mia altrettanto modesta nonché mite teoresi sovraesposta per far spazio ad un vero genio, che su questioni affini ha scritto e fatto scuola, a generazioni intere.
Erich Fromm ha analizzato la capacità concreta dell’amore degli individui anche sulla base dei condizionamenti sovrastrutturali, organizzativi e burocratici in cui le persone operano, nell’epoca capitalistica.
Occorre però sottolineare che se il capitalismo ha presentato e presenta grandi problemi per la serenità dell’amore in sé nella sua autenticità morale (non moralista e non possessoria), sicuramente i sistemi organizzati di produzione socio-economica di ricchezza precedenti al capitalismo hanno generato drammi e limiti ben più gravi, ed incisivi, sull’amore libero, liberato, liberante.
Fromm ne “L’arte di amare”, parlando dell’amore all’interno della società occidentale, ha osservato che il capitalismo moderno necessita di uomini che cooperino su un’amplissima scala, nonché di uomini che consumino e vogliano consumare sempre più, con gusti standardizzati, prevedibili, influenzabili. Per Fromm il risultato di questa situazione è rappresentata dal distaccamento dell’uomo – inteso come essere umano – da se stesso, dai suoi simili e dalla natura. Secondo l’illustre autore, l’uomo è “stato trasformato in un oggetto”; egli “sente le sue forze vitali come un investimento che gli deve dare il massimo profitto ottenibile alle condizioni di mercato del momento”. A fronte di ciò, secondo Fromm le relazioni umane sono essenzialmente quelle degli automi, “ognuno dei quali basa la propria sicurezza tenendosi vicino al gregge e non divergendo nel pensiero, nei sentimenti o nell’azione”, e quando “ognuno prova a essere il più vicino possibile agli altri, ognuno rimane disperatamente solo”.
Sicuramente oggigiorno – nel 2021! – è bene rimeditare varie riflessioni frommiane, per l’intervenuta liberalizzazione dei modelli personologici in divenire, con un conseguente maggior pluralismo che si sta pian piano nonché faticosamente emancipando quale modulo esistenziale ideale, all’insegna delle libertà sessuali generalizzate e capillarizzate, nonché all’insegna della ri-sessualizzazione delle civiltà occidentali, post-identitarie e post-ideologiche.
Le istanze policentriche e socio-politicamente queer (rotte-di-schemi aprioristici) all’interno di quella che potremmo chiamare egologia, si sono abbastanza – ma non sempre – emancipate, in alcuni loro versanti, rispetto ai meccanismi industrializzati di produzione fondati sul capitale e sulla classica divisione delle società in classi socio-produttive. Oggi sia l’operaio che l’imprenditore possono vivere la propria sfera identitaria sessualizzante, socio-erotica, ego-agapica, senza più necessità di fughe turistiche trasgressive nei Paesi di tradizione laicista o materialista. La libera poli-sessualizzazione a cui tende la società odierna, dopo il crollo delle ideologie tradizionali, rappresenta un processo psico-sociale di rottura dagli schemi di alcune tradizioni conservatrici ed ortodosse, a lungo imperanti.
Non si può far finta che non esistano plurime e variegate realtà umane, e occorre fotografare le realtà per quello che esse sono nel loro divenire: ciò lo scrivo in risposta a chi purtroppo ancora concepisce i diritti civili progressivi come un palliativo per non occuparsi dei diritti sociali. Diritti civili, diritti politici e diritti sociali devono stare insieme, nel pluralismo post-ideologico del liberalismo libertario d’odierna avanguardia. La critica al capitalismo che sovrastrutturalizza la civiltà entro schemi sociali – e conseguentemente amorologi e sessuali – di classe classista, esclusivista, necessita di aggiornamenti. Il pensiero di autori autorevoli che hanno riflettuto su queste dinamiche deve quindi essere contestualizzato al divenire della post-contemporaneità in corso.
Occorre infatti considerare l’estensione del consumismo sessuale pluralista ed edonistico, i soddisfazionismi ormonali o sub-ormonali metropolitani e provinciali che vengono lanciati anche attraverso alcuni angoli significativi dei media, dal mondo dello spettacolo e delle arti che normalizzano il new age in un post-new age da social–network.
Occorre aggiornare la sopraesposta lettura critica di Fromm sul capitalismo con l’impatto che l’avvento di un internet onnipresente e condiviso ha avuto sugli io nella loro composizione psico-costitutiva in divenire, nell’èra degli smartphone e delle smart cities, con app e chat, spazi cibernetici che incidono sugli spazi fisici e mentali, talvolta con grandi bolle illusorie, altre volte con fortune realizzative delle personalità aperte e fluidificate, o comunque meno rigide rispetto ai tempi de “L’arte di amare”.
Le considerazioni critiche di Fromm, però, possono essere uno dei punti di riferimento in partenza, sulla via delle ulteriori consapevolezze, immersi nelle nuove criticità come siamo, in questa società più veloce che nella velocità delle occasioni virtualizzate e virtualizzanti ci dismette dalla radicalità delle vecchie fermezze esogeno-identitarie, le quali costruivano con condizionamenti esterni fissi l’individuo, nella sua più statica identità. Gli attuali viventi nati negli anni del Novecento, giovani, maturi o anziani che siano oggi, fanno ancora i conti con i graffi sulla loro pelle psico-morale per l’allora dominante conformismo: molti tra i nuovi liberi erano restrittivamente condizionati, in età puerile e giovanile, da un costume sociale allora poco evoluto. Oggi invece c’è un altro, diverso conformismo, un conformismo nei meccanismi preimpostati ed algoritmicizzabili di eccentricità, o di sfogo eccentrico dell’io, con una conseguente spettacolarizzazione dell’io dell’uomo medio che lo rende dipendente dalla voglia di manifestare una propria virtuale soddisfazione vitale: un vero e proprio festival di diseffettivizzazioni dell’io, il quale cambia semplicemente casacca identificativa di periodo in periodo, per restare in realtà privo d’identità piena.
Allora l’io, nella propria sfera sovrana di dominio sulle plurime sfere motive che lo vanno a comporre, attraverso le pratiche scelte direzionali della vita nella politicità, nella sessualità affettiva o disaffettiva, nel sentimento, nella professionalità, nella corporeità, nel vestiario, nel parlato e nel taciuto, nella liberalità donativa o nel trattenimento ego-proprietario delle cose, fa salire progressivamente frammenti pregnanti di sé dalla sfera di apnea, in sub-conscio, alla sfera del conscio e quindi al campo dell’io sintetico, complessivamente afferrabile dall’esterno. Più frammenti salgono dalla sfera di pregnanza al campo della sintesi individuale (che appare all’esterno per come viene vista da ciascun altro individuo), più l’io matura e si identitarizza in modo maturo ed evolutivo, oltrepassando i semplicistici meccanismi d’identificazione di superficie. Occorre però che i formanti impulsivi di base escano dalle apnee psico-esistenziali dell’io con molto equilibrio, senza irruenze o flussi iper-trafficati di input.
Un mio scritto che lambisce questioni di psicologia, come questo, però, non può terminare con le mie stesse modeste visioni. Preferisco concludere menzionando chi ha scrutato la mente umana molto di più, e meglio. Preferisco concludere con un passo in cui il grande Fromm si rifà ad un altro grande pensatore, Huxley. Ne “L’arte di amare” Erich Fromm ha infatti scritto che la “nostra civiltà offre molti palliativi che aiutano la gente a essere ‘coscientemente inconscia’ di questa solitudine: primo fra tutti la stretta routine del lavoro meccanico, burocratico, che aiuta la gente a restare inconscia dei più fondamentali desideri umani, del desiderio di trascendenza e unità. Finché la routine da sola non ci riesce, l’uomo supera la propria inconsapevole disperazione mediante la routine dei divertimenti, della consumazione passiva dei suoni e delle immagini offerti dall’industria del divertimento”. Poi l’autore ha scritto che “L’uomo moderno è in realtà vicino al quadro che Huxley descrive ne ‘Il mondo nuovo’: ben nutrito, soddisfatto sessualmente, eppure unito solo superficialmente ai propri simili”.
Invito quindi i lettori a non deprimersi sulla critica macroscopica che massimamente potrebbe essere mossa alla civiltà, per la persistenza di vari punti ancora molto ostici ad un auspicabile eurismo policentrico e democratico-libertario. Invito quindi i lettori ad utilizzare gli strumenti della critica per penetrare, più intensamente, la vita: per penetrare ogni singolo tentativo di realizzazione in ogni ambito ed in ogni spazio; per penetrare ogni momento significativo che sintetizza e catapulta l’io su un’ulteriore dialettica di messa in discussione edificante.
Penetriamo ogni cosciente frontiera di scorrevolezza adempitiva dell’io all’io in mezzo agli altri; ogni esperimento di crescita; ogni sforzo esistenziale ed ogni avventura intrattenibile alle corde costitutive dell’io. Ciò può comportare sacrifici, ma nel vaglio della relazione tra i costi ed i benefici, non lasciamoci spaventare dalle varianti indecifrabili della vita. Meglio preferire le libertà all’ossessione di uno schema imposto ab externo.
La vita spesso si lascia declinare senza farsi decifrare compiutamente. Occorre viverla: la vita è una scuola in sé dove c’è prima l’esame, e poi la lezione. L’amore carsico è quell’amore che è cosciente del proprio essere “a-mors”, “senza morte”: un insegnamento che si può laicizzare nonché secolarizzare intendendolo nel modo seguente. Finché siamo in vita e amiamo autenticamente le realtà modificabili intorno a noi, non moriamo dentro. Chi ama è senza morte, nell’eternità di ogni attimo penetrabile oltre il brivido della consapevolezza circa l’ineluttabilità delle morti.
D’altronde, come diceva Hermann Hesse, “L’amore deve avere la forza di attingere la certezza in se stesso. Allora non sarà trascinato, ma trascinerà”.
Attraversiamoci, penetrando la forza e l’autoconservazione evolutiva che vibra sottilmente, indelebilmente, dentro l’unicità di ciascuno di noi. Spero che il mio deserto s’incroci col vostro, in qualche modo, in un festival egosociospirituale di sabbie mobili: spingendo sempre più su il fondale degli abissi d’incertezze, per scoprire un cielo di rinate primule certezze; l’interscambio è già rivoluzione egologica in sé.