
M. Gli ultimi giorni dell’Europa, edito da Bompiani 2022
Lo scorso settembre è uscito il romanzo di Antonio Scurati, M. Gli ultimi giorni dell’Europa, edito da Bompiani. È il seguito di M. L’uomo della Provvidenza e del Premio Strega 2019 M. Il figlio del secolo.
In questo nuovo racconto Scurati ripercorre in maniera romanzata gli eventi che vanno dal 1938 al 1940, che precipitano nella carneficina del secondo conflitto mondiale, “una guerra devastante nel cuore dell’Europa, scatenata dalla bramosia dei popoli confinanti e affini, combattuta con brutalità devastante”.
La narrazione si apre con la domanda dell’inquieto Ranuccio Bianchi Bandi, “li uccido tutti e salvo milioni di vite oppure non li uccido e salvo la mia? “, che vorrebbe sacrificarsi per risparmiare all’Europa il crudele destino, mentre il Führer incontra il Duce nella stazione Ostiense per il primo giorno della sua visita in Italia. È la domanda che si insinua continuamente nelle trame della storia che, per dirla con le parole di Scurati, “si fa romanzo “ e che mostra tutti i tentativi per evitare l’inevitabile, il destino che si oppone a farsi piegare, a partire dai tentativi di Chamberlain, Daladier e Mussolini di ammorbidire le intransigenze di Hitler con la pretesa di andare a prendersi il lebensraum, lo spazio vitale che la Germania ottiene con l’Anschluss e con l’occupazione della Cecoslovacchia.
È il racconto del dramma personale del podestà di Ferrara Renzo Ravenna, amico di Italo Balbo, uno dei pochi che osi dare del tu al Duce. La storia di Ravenna racconta la tristezza di tanti ebrei che dovettero soffrire per la promulgazione delle Leggi Razziali del 1938, alcuni dei quali avevano nutrito speranze e aspirazioni politiche nel fascismo, le quali venivano rinnegate in nome della bieca e pretenziosa superiorità razziale degli ariani. Come Renzo Ravenna anche Margherita Sarfatti soffre per la tragica svolta del regime e nel racconto si rivela tutta la sua inquietudine, il dramma che da lì a non molto investirà gli ebrei di tutta l’Europa. È anche la storia dei gerarchi fascisti che tanto si mostrano accondiscendenti nei confronti del Duce, e di Edda Ciano, figlia di Mussolini, donna viziosa e sfacciata, che tradisce il suo Galeazzo nelle notti brave e che reclama spazio d’opinione sulle questioni politiche. E poi c’è lui, il protagonista indiscusso, da cui tutto ha origine: Benito Mussolini. È il più inquieto di tutti, un nervosismo che scarica sulla sua povera amante, Claretta Petacci, alla quale non risparmia la rabbia e le paranoie di un uomo che si appesantisce nella crudeltà dell’età. L’isteria del Duce nasce dal tentativo di resistere allo strapotere politico, militare e psicologico di Hitler che dell’Italia e di lui può far anche a meno, a tal punto da buggerarlo nel patto Molotov – Ribbentrop. Ma il Capo del Governo sa cogliere i segni dei tempi, il momento storico in cui rimboccarsi le maniche per “l’ora segnata dal destino, […] l’ora delle decisioni irrevocabili “. L’ingresso dell’Italia in guerra il 10 giugno 1940 segna anche il punto d’arrivo del racconto, l’orlo del precipizio e della vertigine che anticipano il salto nel vuoto nel quale l’Italia e I’Europa precipitano.
Lo stile, accattivante e diretto, ma al tempo stesso ricercato, rivela l’abilità dell’Autore nello sviscerare con maestria e semplicità i principali eventi del biennio 1938-1940, a tal punto da affascinare anche coloro che non amano la storia.
Perché allora leggere questo libro?
Oltre all’aspetto squisitamente storiografico, perché è un lavoro che si snoda a partire dalle fonti, è un racconto che ci insegna a dar conto della storia, di un passato che non è lontano e che sta pericolosamente tornando negli errori che oggi i leader mondiali stanno commettendo. L’invio dei carri armati in Ucraina e la mancanza di una strategia diplomatica, attualmente inconsistente e sterile, potrebbero favorire l’escalation militare e portarci metaforicamente all’Armaggedon, che è a pochi secondi dalla mezzanotte, novanta per l’esattezza, una lezione che noi, uomini del tempo presente che sguazziamo nell’ebbrezza fascinosa della disintegrazione, non abbiamo ancora imparato.