Un ragazzo di Milano vola in braccio alla morte mentre, in sintonia con il nostro tempo, la sfida in un duello suicida: per farsi un selfie
Caro Direttore,
accantono per una volta l’Italia degli sfascisti per riflettere sui fatti della vita che ci colpiscono per una mezz’ora e poi finiscono nel dimenticatoio. Un ragazzo di Milano, come sapete, vola in braccio alla morte mentre, in sintonia con il nostro tempo, la sfida in un duello suicida. Un selfie nel punto più alto del centro commerciale, sull’orlo del baratro. Dicono i suoi amici che il ragazzo si raccontasse la morte come un nemico non temibile. E’ il lato della faccenda che mi rattrista di più.
Quando accadono storie come questa, che non è la prima e non sarà l’ultima, mi prende il panico da aggettivo. Come si può definire una storia così? L’arco del giudizio può andare da terribile a banale, perchè l’orrore e la banalità si mescolano e si annullano a vicenda. Di chi la colpa? L’elenco è sempre lo stesso: genitori, famiglia, scuola, compagni di gioco, social; e voi, lettori, aggiungete quel che vi pare. L’inspiegabilità ha molte spiegazioni, cioè nessuna, in modo che ognuno si scelga la propria per sentirsi incolpevole.
Progressisti e reazionari si dividono sui metodi educativi dell’oggi, i nostalgici cantano le lodi del mondo che fu, senza rendersi conto che, appunto, quel mondo adesso è alle nostre spalle. E che sono alle nostre spalle anche i modelli di genitori, famiglia, scuola, compagni di gioco e via elencando. Le famiglie sono allargate, doppie e triple; la scuola non riesce a rimpiazzarle, nonostante la dedizione di molti insegnanti; gli innocenti giochi di strada sono diventari selfie sul baratro. I social – che meritano un discorso a parte- non sono voci di galateo e di umori umanitari.
I social ti fanno divo se tu sfidi il buon gusto, il rispetto degli altri e il rispetto di te stesso, fino al volo pindarico e allo schianto fatale. La colpa è dei social? Non me la sentirei di affermarlo. I social sono uno strumento tecnicamente neutro, che gli uomini rendono buono o cattivo, ma che ahinoi! per crescere rigogliosi hanno bisogno di orrore. Sono gli uomini che danno senso alle cose, non viceversa, come si usa dire oggi per nascondere la testa sotto la sabbia. E, a forza di nasconderla, si arriva a una sorta di assuefazione, tanta sabbia per non vedere e non sentire.
Io non sono un educatore, e non ho ricette che possano guarire l’uomo dai suoi mali ab ovo, che nei secoli assumono aspetti e fogge diversi. Credo che la ragione profonda sia in un relativismo spicciolo, nell’affrontare la esistenza senza un disegno. Un disegno che non guardi necessariamente all’eternità, ma che dia senso al nostro stare al mondo, almeno nel distinguere la vita dalla morte. Negli ultimi duemila anni di storia è stato il Cristianesimo la nostra guida.
Adesso lo è sempre di meno, perchè ognuno pensa al suo paradiso sulla terra, ché per l’altro c’è sempre tempo, ammesso che poi esista davvero fuori dalla Commedia di Dante. Io sono cristiano a modo mio, perchè penso che non sono il paradiso e l’inferno a darmi la forza di soffrire e di gioire, cioè di vivere. Ma, forse, se vivessimo un po’ più da cristiani, anche adesso che le chiese si svuotano, distingueremmo la vita dalla morte. Lo scrivo come si racconta un sogno, mi piacerebbe fosse possibile. Ma forse arrivo in ritardo di qualche decennio, ahimè!
Condivido e non aggiungo altro alla sua analisi, che con poche righe, riesce a farci riflettere molto e bene.