Ricordo un aneddoto risalente al 2001, quando, in occasione dello spettacolo del comico Panariello tenutosi nella nostra città, fu invitato l’attore Gérard Depardieu, il quale, dopo una lunga attesa in fila lungo via Trani, esclamò: “Andria, la città del olio, la città della mozzarella, la città del passaggio a livello!”

Ormai da anni, sui giornali locali e siti web, si leggono titoli del tipo: “Andria, ok all’interramento”(2011); “Entro il 2015, il grande progetto delle ferrovie del nord-barese”(2011); “Interramento ferrovia Andria, si parte!”(2012); “Interramento ferrovia: verso la risoluzione”(2013). Questi sono solo i titoli più recenti, ma è all’incirca dal 1998 che la storia si ripete, fino a creare una mitizzazione stessa del problema. Tutto nasce alla fine degli anni ’90, quando un protocollo delle città di Andria, Corato e Barletta, costrinse la Regione e le Ferrovie Nord-Barese a un accordo per la riqualificazione e l’interramento di tratti della ferrovia. Redatto lo studio di fattibilità, si è aspettato per anni il parere della Commissione Europea, arrivato piuttosto di recente, che ha finalmente sbloccato i fondi comunitari per i trasporti e la mobilità.

Ma partiamo dal principio, una ferrovia non è composta dalle sue parti più propriamente visibili, ovvero treno, binari, merci, passeggeri, ma è altresì legame con il territorio, con la realtà sociale e per molto tempo è stata il simbolo dello sviluppo moderno, un balzo verso l’era industriale, una rivoluzione nei rapporti umani.

Ai suoi esordi, urbanisticamente ed architettonicamente, la stazione si fa essa stessa generatrice di un nuovo sviluppo urbano, in quanto sintetizzava il significato di “nuova porta della città”: da essa si tracciavano grandi assi viari, pedonali e prospettici con fulcro la piazza centrale, emblema di aggregazione sociale (quasi come se la popolazione stessa potesse inorgoglirsi di tale modernizzazione) , il tutto creando una città compatta e compresa nel ring ferroviario.

Ovviamente si era ancora estranei ai concetti di ecologia e compatibilità ambientale, ma oggi, quando queste sono le parole d’ordine nel progettare, la situazione è cambiata. In un processo durato decenni di autorganizzazione ed espansione del territorio urbanizzato, la ferrovia ha finito per ritrovarsi all’interno del centro cittadino, diventando (per dirla con il linguaggio di K. Lynch) un margine, una frattura e una barriera alla ricompattazione, causando così molteplici conflitti funzionali. Inoltre nell’immaginario collettivo la ferrovia viene relegata a mezzo necessario, ma un po’ scomodo, lento, goffo e sporco, una sorta di snobismo culturale lascia il treno a chi proprio non può viaggiare in auto.

Quello che per secoli era stato uno dei simboli di connessione tra culture e uomini, adesso è sinonimo di disaggregazione. Il quadro generale che si riflette comporta non poche diseconomie esterne di cui la collettività si fa carico. Nella nostra città, le ricadute sul piano urbanistico si evidenziano nell’aumento del traffico urbano nell’intero arco della giornata con picchi in corrispondenza dell’arrivo e della partenza dei treni, nella creazione di vuoti urbani o sacche di degrado nelle aree prossime alla ferrovia, per non parlare dell’inquinamento acustico ed ambientale, ricadute che, in una città media come Andria, si ripercuotono sull’intero tessuto urbano (accessibilità dell’ospedale, inefficienza urbana e dei servizi).

Per tutte queste ragioni, nel valutare gli studi di fattibilità, non si può ricorrere ad una mero calcolo economico per assicurare un solo vantaggio finanziario dell’investimento, ma bisogna stimare i costi e i vantaggi sociali che il progetto comporterebbe. È evidente che, finanziariamente, l’interramento della ferrovia è oneroso e provoca ben poche ottimizzazioni dal punto di vista dei trasporti. Al contrario, ha un favorevole impatto in materia di vantaggi per la collettività. Per questo motivo non si può contare solo sui fondi europei per la mobilità e i trasporti, infatti le decisioni, nella maggior parte delle volte, vengono prese non considerando vantaggi e svantaggi sociali, e ciò ha causato ritardi nelle procedure derivanti, peraltro, anche dall’inefficienza dei nostri apparati pubblici e rappresentanze istituzionali.

Chi è responsabile di questi intoppi deve farsi carico di eliminare o compensare tali disagi, in quanto eliminarli compenserebbe per ben dieci volte i costi sociali derivanti dalle diseconomie esterne. Il progetto di delocalizzazione della stazione attraverso la progettazione di due nuovi centri Andria nord (nella zona via vecchia Barletta) e Andria sud (lungo via Bisceglie) non solo non basta, ma è in netto ritardo e ciò potrebbe causare la perdita dei fondi, rendendo vani i precari sforzi per modificare la situazione. La soluzione, ben efficace, sarebbe quella di completare la prima stazione e interrompere la costruzione di Andria nord (inutile se si pensa all’intensità del traffico locale), dirottando il traffico ferroviario con Barletta (facilmente sostituibile con trasporto su gomma, semplice per soli 10 km!), cominciando così l’interramento della tratta.

La dismissione della ferrovia superficiale, oltre a far nascere un trasporto metropolitano leggero per la crescita della nuova provincia, lascerebbe anche ampio spazio alla creatività urbana, potendo riconvertire le aree residue in parchi lineari accostati ad una pista ciclabile e interconnessi a un sistema di servizi integrato (edificabile nelle aree vuote in particolare a ridosso della zona 167), diventando così anche una ghiotta occasione di valorizzazione immobiliare.

Molti sono già gli esempi in Europa e nel mondo, primo fa tutti e il famoso “High Line Park” di New York, ma anche in Italia le Ferrovie dello Stato stanno muovendosi in questo senso, attraverso le greenways, in linea perfetta con le nuove politiche di sviluppo sostenibile inteso come il miglioramento della qualità della vita, della coesione sociale pur rimanendo nei limiti della ricettività ambientale.

Agire tenendo conto di questo principio è compito di tutti, governi, imprese e cittadini, così da far riacquisire alla ferrovia il suo valore originario, ovvero veicolo di genti e culture, che, benché destinato all’interramento, continua a vivere mantenendo la sua traccia su quello spazio che rappresenterà un nuovo cuore pulsante della vita pubblica della città.


Articolo precedenteUn dolcino per la Befana
Articolo successivoA che serve il silenzio
Adriana Caldarone nasce ad Andria nel 1987. Si sposta a Roma per studiare architettura, luogo dove attualmente vive e fonda un'associazione chiamata Ylati architetti. Da sempre appassionata di musica e spettacolo, frequenta corsi sin dalla sua infanzia, percorso che la guiderà nella scelta di approfondire una disciplina che lega arte, tecnica, filosofia ed evoluzione socio-culturale. Utilizza la scrittura come elemento di indagine, per comprendere le dinamiche di cambiamento che avvengono all'interno della sua città natale e poter offrire così un contributo di trasformazione.

1 COMMENTO

  1. “La soluzione, ben efficace, sarebbe quella di completare la prima stazione”: intendi Andria sud, quindi via Bisceglie?

    “La dismissione della ferrovia superficiale, oltre a far nascere un trasporto metropolitano leggero”: chi e come potrebbe far questo?

    “lascerebbe anche ampio spazio alla creatività urbana”: non vedi pericoli in questa creatività, considerando la storia urbanistica di Andria?
    “potendo riconvertire le aree residue in parchi lineari accostati ad una pista ciclabile”: fatti da chi, gestiti da chi?
    “e interconnessi a un sistema di servizi integrato (edificabile nelle aree vuote in particolare a ridosso della zona 167), diventando così anche una ghiotta occasione di valorizzazione immobiliare.”: com’è strutturata la proprietà fondiaria delle zone interessate?

    Articolo interessante, bisognoso di approfondimento: naturalmente secondo il mio modesto, modestissimo parere.

Comments are closed.