«Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo»
(Paradiso XIX, vv.106-108)
Canto diciannovesimo, nel cielo dei giusti che, sotto forma d’aquila, parlano ad una sola voce e rispondono ad un dubbio inespresso del quale l’intera cristianità del tempo, non solo Dante, sentiva il lacerante dissidio. Tema: la salvezza di quanti non hanno conosciuto Cristo o perché nati prima di Lui o perché vissuti in luoghi nei quali il Vangelo e il suo nome non sono mai arrivati.
La risposta dell’aquila è di quelle che non soddisfano immediatamente il nostro palato e, in effetti, non difettano i commentatori che citano questo canto per ribadire che gli schemi danteschi sono figli del loro tempo e poco “moderni”. Tuttavia, visto che il nostro caffè ci dà la libertà di cogliere fior da fiore e di liberarci dagli schemi scolastici, dei quali qui l’aquila dà più che esauriente esempio, io vorrei soffermarmi su una terzina che, nel contesto, temo non riceva l’attenzione che merita:
«Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo»
(Paradiso XIX, vv.106-108).
Vedi, molti di quelli che invocano il nome di Cristo, nel giorno del giudizio, saranno molto meno vicini a lui di chi invece non l’ha mai sentito nominare: sono queste le “perle” di Dante che me lo fanno amare più di tutto. So anch’io che tanto del nostro modo di pensare oggi lo lascerebbe a bocca aperta, conosco i suoi, e miei, retaggi culturali, so che – giusto per fare un esempio – il Morgante del Pulci è, dal punto di vista dell’apertura alla modernità, avanti anni luce rispetto alla Commedia. E nondimeno.
Nondimeno, è molto più difficile essere “moderni” quando si è “antichi” fin dentro al midollo. Mantenere l’apertura mentale per affermare che anche chi non ha mai sentito nominare Gesù Cristo, se ha vissuto in modo retto e con cuore largo, potrà essere vicino a lui più di tanti che si battono ipocritamente il petto, non mi pare cosa da poco. Specie, lo ribadisco, se la tua formazione, l’aria che hai sempre respirato, la tua visione del mondo ti porterebbero a conclusioni opposte.
Oggi più nessuno si dilunga su temi quali l’esistenza di un limbo. Oggi tutti, anche in ambito cattolico, con tanto di documenti magisteriali, ribadiscono l’universale chiamata alla santità (che è un bel modo per dire “salvezza”…). Oggi. Ma allora non era così. Eppure Dante ha scritto una cosa diversa e infinitamente “moderna”.
Chissà quanti cristiani miei contemporanei sono più medioevali di lui. Il punto è che dimenticano che, su questi argomenti, tanto più per chi è credente, non si misura la coerenza dell’uomo, ma quella di Dio.
Intendo: che cuore di Padre sarebbe quello che condannasse chi non l’ha conosciuto? La risposta, io credo, la conosciamo tutti. La conosceva anche Dante:
«Muore non battezzato e sanza fede:
ov’è questa giustizia che ‘l condanna?
ov’è la colpa sua, se ei non crede?»
(Paradiso XIX, vv.76-78)
Frère Roger: «Colui che vive nella misericordia non conosce né suscettibilità né delusioni».
Maria di Nazareth: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore».
Luigi Settembrini: «Io non so se Roma pagana gettò più uomini alle belve che Roma cristiana al rogo».