La bellezza è al-di-là dell’utile, del tornaconto, della praticità senz’anima; è oltre il consumo

Capita a volte di trasalire per un sorriso o per un tramonto, di commuoversi fino alle lacrime per un gesto di gentilezza, di sostare davanti ad un’opera d’arte e di capire in quel preciso momento che cosa significhi, in fondo, pregare. Capita di sprecare più tempo del dovuto davanti allo specchio, per insicurezza o per vanità, o con una macchina fotografica tra le mani o in giro per la casa e il giardino per restituire ordine alle cose, curarle nei minimi particolari, apparecchiarne la bellezza come fosse l’unico scopo della giornata. Capita pure di dedicarsi, senza che nessuno lo abbia richiesto, alla cura di spazi comuni: strade, piazze, luoghi di lavoro possono trovare un volto nuovo quando l’uomo sa declinare il gusto del bello nella gratuità.

Certo, poi capita di sentirsi incompresi e rimproverati da chi suggerisce uno stile di vita più “pratico”, più “concreto”, più concentrato sulla “sostanza” che sull’apparenza. Già, la sostanza…quella per cui si è disposti a risparmiare, magari investendo nella bruttezza; quella al cospetto della quale la forma, l’estetica è costretta a piegarsi, a prostrarsi nella considerazione di dettaglio, distrazione, ingannevole apparenza.

È il mito della coerenza, fredda e austera, e dell’autenticità che, senza bellezza, è solo moralismo, vuota paternale, demagogia. È il modo di fare di chi, dai vertici del potere ai contesti più anonimi, propone i grandi cambiamenti e impone una fantomatica verità assoluta urlando senza garbo, senza finezza, senza armonia. Perché tanto contano i fatti! È il modo di agire anche di tutta una politica quotidiana senza gusto, della quale siamo succubi ma tante volte autori: scuole fredde e sporche, oratori grigi e fatiscenti (dove si pretende di annunciare un Dio che è e crea bellezza…!), quartieri senza verde pubblico e parchi-gioco senza colori. Per non parlare della considerazione della storia dell’arte, della filosofia, della teologia, della letteratura e della poesia: ma si, a cosa servono? Qual è la loro utilità? Meglio puntare sui “saperi pratici”.

La bellezza, quanto è in-utile la bellezza: è al-di-là dell’utile, del tornaconto, della praticità senz’anima; è oltre il consumo, indisponibile e sfuggente per chi si perde nel calcolo, alleata fedele di quelli che, invece, sprecano energie, donano, sanno tenere insieme le cose più diverse in armonia. Perché la bellezza è polifonia: non sceglie, non seleziona, non livella per rifugiarsi nella comoda uniformità, rispetta la peculiarità di tutti e sceglie sempre il tutto. Abita nei gerani dei balconi profumati e tra le pile di piatti e bicchieri della credenza chiusa della nonna, nel riflesso della luce sull’acqua del mare e nell’arcobaleno, nei girasoli di Van Gogh e negli scarabocchi di un bambino, negli sguardi stanchi di chi ha lavorato per ore e nelle mani mai ferme dei neonati.

La bellezza, però, non è sdolcinatura, bensì profonda, esistenziale serietà. È il motivo per cui è bello il volto pieno di rughe di un anziano, un corpo provato dalla disabilità, un oggetto consumato dal tempo e zeppo di ricordi, una parola capace di spronare e di tirare fuori il meglio. Non per niente il termine estetica richiama l’estasi, come uscita, esodo da sé verso l’altro e verso altro, in una logica di apertura continua e di dispendio dei propri talenti. In tal senso la fermezza di qualcuno che ti corregge è immensamente più bella di sorrisini e occhiolini a basso costo, promozionali di assoluta incapacità di responsabilità dell’altro, di toccarlo, di farsi contagiare per essere uno con lui, dunque di relazione autentica.

La forma non è l’opposto dell’essenza, non è il suo contenitore e nemmeno l’uscio attraverso cui raggiungerla. La forma è epifania della sostanza: farne esperienza significa cogliere già la cosa verso cui si è protesi; il suo apparire, in bruttezza o in bellezza, ne reca il profondo significato.

E se a volte “l’apparenza inganna”, ciò avviene perché non si ha uno sguardo allenato a cogliere la bellezza: la si associa, infatti, alla perfezione lineare, all’equilibrio della neutralità, alla calma piatta, ad un clichè di comportamenti ordinati, impeccabili, delicati al punto da diventare completamente inesistenti e incapaci di toccare la materia, di mescolarsi con essa.

La bellezza non è l’idea della bellezza, è di più: è silenzio e urlo, armonia e sproporzione, concretezza e astrattezza, assenza e presenza, ineffabile e tangibile, dolcezza tagliente e forza carezzevole, tutto insieme. La riconosci perché ti fa uscire da te stesso, dai tuoi schemi, dalle tue chiusure, dal continuo bisogno di un tornaconto. Ne senti il bisogno profondo, l’attrazione irresistibile: così la riconosci. Non ti lascia niente in mano, ma ti riempie il cuore.

E ti ritrovi oltre l’utile, dov’è sovrabbondanza, e gratuità.

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