“Io penso spesso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno” scriveva Vincent Van Gogh. E quella notte, per l’artista olandese, prende vita in mille imprevedibili sfumature colorate, che abbracciano e avvolgono. Dettagli che si animano.
“Guardare alle stelle mi fa sempre sognare, semplicemente come quando sogno sui punti neri che rappresentano le città e i villaggi in una mappa. Perché, mi chiedo, i puntini luccicanti del cielo non dovrebbero essere accessibili quanto i puntini neri sulla carta della Francia?”.
Un sogno che diventa un dipinto, e lo spettatore è parte di quel dipinto. Sotto i suoi occhi la notte sul Rodano lascia spazio alla luce, al sole di un campo di grano, a un volo di corvi. Un tripudio di colori e di suoni. Un’esperienza immersiva e sensoriale tra le pennellate di Van Gogh, nella mostra allestita a Napoli fino al 25 febbraio nella Basilica di San Giovanni Maggiore.
Non ci sono quadri, non ci sono tele, solo otto schermi giganti e sedici proiettori ad altissima definizione, che, attraverso un innovativo sistema di proiezioni mapping 3D, trasformano in arte pareti, colonne, pavimenti della chiesa, e i quadri del pittore olandese diventano vivi, dando allo spettatore l’illusione ottica di entrare in quei paesaggi. Una colonna sonora creata ad hoc aumenta l’effetto di suggestione, mentre scorrono le lettere al fratello Theo.
Un Van Gogh sicuramente diverso da quello che si può ammirare ad Amsterdam: un nuovo modo di vivere l’arte o una profanazione dell’arte?
La mostra si snoda in tre sezioni: la prima ripercorre la vita del pittore a cominciare dalla ricostruzione della sua cameretta; la seconda, allestita nella navata centrale della basilica, è un percorso immersivo tra le opere e lo spettatore, seduto su divani o tappeti, può gustare i dipinti videomappati e sentirsi parte del paesaggio, con il treno che corre tra i dipinti, il fiume che sgorga sul pavimento, o i ritratti che interagiscono e si confondono, fino poi a vivere i momenti finali di Van Gogh, quelli della follia e dell’alcol. La terza sezione è quella virtuale: indossando occhiali 3d e cuffiette, è possibile “camminare” dall’alba al tramonto con il pittore nel villaggio di Arles in Francia, grazie a sette dipinti: La camera da letto, la Casa Bianca, Siesta, Campo di grano con corvi, Campo di grano con cipressi e La notte stellata.
Forse il genio olandese storcerebbe il naso, così come lo stanno facendo i cultori dell’arte che gridano all’eresia di fronte a questa spettacolarizzazione della pittura: il rischio, a loro avviso, è quello di banalizzare l’opera d’arte o suggerirne un’interpretazione “guidata”. Queste nuove frontiere sono sicuramente un approccio insolito ai dipinti – esperimento peraltro già collaudato in passato per le mostre virtuali di Caravaggio, Leonardo, Modigliani, Klimt – che ne consente però la fruizione da parte di un pubblico più vasto, soprattutto giovane, poco abituato a frequentare i musei, perché ritenuti “noiosi”. Lo spettatore non proverà la stessa emozione del dipinto reale, ma entrerà con altre emozioni nel mondo del pittore e forse poi vorrà vedere da vicino i suoi quadri.
Una domanda provocatoria: è questa la vittoria dei Futuristi che proponevano la distruzione dei musei? Marinetti nel Manifesto del 1909 così proclamava: “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie”.
O ancora più provocatoriamente stiamo raccogliendo l’aureola che per Baudelaire l’arte aveva perso in una pozzanghera e la stiamo restituendo all’arte? Per carità, in modo completamente rinnovato e nella consapevolezza del tipo di operazione che si sta compiendo.