Risorgere dalle proprie ceneri, spiccando il volo proprio come un’araba Fenice. A fendere una ritrovata aria fresca è il refolo poetico di Giuseppe Emanuele Volpe nella cui silloge “La Rinascita del Vento” (prefazione del Direttore di Odysseo, Paolo Farina) esprime trasporto romantico con uno stile classico molto riconoscibile:

Ciao, Giuseppe. Perchè hai scelto il vento come metafora di “rinascimento”?

“La Rinascita del Vento” è la mia quarta raccolta di poesie, staccata dalle prime tre perché segna l’inizio di un nuovo percorso interiore. In questa raccolta metto più a nudo le mie esperienze di vita, i sentimenti, anche i dolori, i traumi della vita passata, insieme al desiderio personale di ogni uomo di essere guarito dalle sue ferite, e trovare pace e serenità in sé stessi, attraverso la ragione che è una mia caratteristica; data la mia personalità fortemente razionale, cerco di indagare il divino e lo spirituale. Ma io, in questa raccolta, voglio spingermi oltre questo orizzonte, perciò scelgo questa metafora del “vento”, che non si sa né da dove viene né dove va.

Quanto, tuttora, il dolore di Cristo può insegnare all’uomo ad affrontare il proprio?

Se si guarda all’uomo che è stato appeso su quella croce tutto diventa più accettabile per noi, ma questo non significa rassegnazione davanti al male della vita, bensì avere il coraggio di guardare in faccia il nostro dolore e affrontarlo insieme alle paure che esso genera. Ci si scoprirà pian piano di essere diventati più forti, vivi, e anche sereni e finalmente felici, perché la felicità non consiste nel denaro, nella cultura, ma nella sapienza e nello scoprire la verità e conoscere ciò che è bene e ciò che è male. Questo lo diceva Aristotele, filosofo pagano prima di Cristo, ed è divenuto il padre del pensiero occidentale. Mi piace ricordare l’episodio del Vangelo legato alla prima apparizione di Gesù risorto, che appare ai discepoli a porte chiuse e subito gli mostra le ferite rimarginate, come per dire: “guardate sono veramente io, sono vivo.” Sì, perché il dolore e la sofferenza restano sempre una grande prova che ha scosso tutto il nostro essere.


Nella tua silloge assistiamo ad una sorta di dicotomia eros/thanatos. È questo conflitto che spinge ciascuno di noi a superarsi ogni giorno?

Voglio esordire con una frase di Leopardi, con cui condivido l’animo inquieto, il quale afferma:”Chi conosce il limite delle possibilità!”. Dobbiamo immaginare questo percorso interiore come quello di un filosofo greco antico che cerca di indagare il senso della vita attraverso uno dei più nobili sentimenti, l’amore, che riguarda l’uomo in tutte le sue forme. Ed ecco che i miei versi non fanno altro che decantare questa passione bruciante nello spirito di ogni uomo.

Dove credi ti porterà il vento?

Bella domanda! Il vento penso che potrebbe portarmi a cercare sempre di più ad indagare col velo della mente poetica il senso dell’esistenza stessa. D’altronde, come il prof. Farina afferma nella sua prefazione, il senso dell’inquietudine nel mio animo mi porta sempre più a ricercare interiormente il divino e non solo, anche la felicità.