
di Hayao Miyazaki
Golden Globe 2024 come miglior film di animazione e il maggiore incasso al box office italiano nei primi sette giorni del 2024 con quasi 4 milioni di euro. Più di 100 milioni di dollari in tutto il mondo. Tanti riconoscimenti. Ma è davvero un capolavoro?
Il ragazzo e l’airone è ritenuto dagli esperti in esperienza altrui un film sul suo stesso regista e sceneggiatore, Miyazaki. Sulla sua infanzia, sul rapporto simbiotico con sua madre e tormentato con suo padre. Sullo sfondo della sua adolescenza le macerie di una guerra mondiale. Si percepiscono chiaramente dalle immagini i sentimenti della perdita e della precarietà che confondono la gioia della vita.
La trama. Mahito, protagonista animato, è costretto a trasferirsi con suo padre che lavora in una fabbrica di parti meccaniche per aerei, stesso lavoro del vero padre di Miyazaki, dopo la morte della cara moglie, infermiera. Mahito è profondamente segnato dal lutto, smarrisce il senso della vita. Incontra un airone dalle forme sgraziate, un quasi umano e uccello e mostro: con lui parte per una avventura tra realtà e irrealtà ovvero un mondo popolato dal caos, da magia, da visioni e altro. Vi è la presenza nefasta, disturbante, nel film di uccelli giganti e carnivori, cattivi e ubbidienti come soldati, che uccidono per mangiare, maneggiando coltelli affilati: distraggono dalla bellezza dei paesaggi e dai volti dei protagonisti che parlano per quasi tutto il film, purtroppo solo loro, in assenza della forza di veri e propri dialoghi. Perché questa volta, in questo film, di circa due ore, non è più sufficiente il solo vedere, ammirare, occorre il sentire e il comprendere cosa stia accadendo. Tutto è incontrollabile. Manca il cuore, la sensibilità, c’è solo tanta roba costosa, tanta animazione superflua.
Diventa un’avventura che risulta disperata, esasperata per eccesso di contenuti visivi e fantasia. Miyazaki è un genio ma ha oltrepassata il limite del sensato, getta senza sosta nel film immagini e personaggi che non hanno un fine ma solo lo scopo di intrattenere e saziare sino a non digerire più nulla. Il cuore non è elastico, è un muscolo che va colpito, se necessario, perché batta. Questo film non colpisce. Non fa nulla per evitare la perdita della consapevolezza e dell’importanza del meravigliarsi, soprattutto per ricordarne l’importanza. È sin troppo personale, quasi egoistico, sfrontato.
Sicuramente vincerà l’Oscar ma sarà alla carriera, un omaggio dovuto a uno dei più grandi maestri dell’animazione che il mondo abbia. Non starò a rimpiangere, anche se dovrei, “Il castello errante di Howl” e le sue meravigliose musiche indimenticabili o “Si alza il vento”, altro capolavoro. Lo sfarzo irraggiunbile de “La città incantata”, pura poesia, premio Oscar nel 2003.
L’articolo crede di analizzare correttamente un artista che oltre a essere un genio dell’animazione, è riconosciuto in tutto il mondo come persona di una particolare profondità e spessore. Un artista del genere non da significati scontati e quel contenuto che l’autore dell’ articolo definisce presuntuosamente privo di senso e che non va da nessuna parte , in realtà è esattamente quello che deve fare il grande cinema e la grande narrazione: essere metafora , farsi “sonda” dell’anima che ogni spettatore e ciascun lettore riempie del proprio significato . Che nel caso del film oggetto dell’articolo è a mio avviso assai profondo e va ben al di là delle considerazioni superficiali e poco consone alla grandezza del regista