
Decima puntata. Perth, 2023.
La flessibilità è lo strumento educativo più potente del CPIA, ma dentro il carcere mal si combina con la complessità organizzativa della struttura.
Se vuoi offrire delle opportunità educative a degli adulti fuori tempo, devi cucirgli addosso un abito su misura. Senza flessibilità l’educazione degli adulti è un’arma spuntata. I tempi del carcere sono rigidi. Dunque dovrebbero essere più flessibili i tempi dei docenti, ma a quel punto l’ostacolo diventano gli spazi o i tempi. Poi ci sono i detenuti, spesso in soprannumero, che per ipocrisia semantica preferiamo chiamare ristretti. Con la stessa moneta corrente dell’ipocrisia semantica non chiediamo mai ai nostri alunni stranieri sui vari territori dei CPIA come sono arrivati, per non doverci stressare ad ascoltare una volta su tre che erano in un barcone. Per non doverli guardare negli occhi mentre lo dicono. Quando sento la parola ristretti mi viene in mente una dieta feroce. Quando sento la parola migrante penso ad un airone.
Ci sono le parole giuste, usiamole, diceva Edoardo. Detenuti in carcere e Displaced People sul territorio perché non sono partiti con un viaggio organizzato, o meglio, sì ma dalla mafia una volta su tre.
No. Non è andata così, direbbe Raiz. Sono le pene che detengono gli uni e sono le necessità che spingono in viaggio gli altri, e la detenzione è giusta, qualora il giudizio fosse definitivo. In alternativa possono trovarsi ristretti per difetto di domicilio da arresti domiciliari, o per non disponibilità di strutture recettive idonee alternative. Ciò è intollerabile.
Il mio amico australiano, Peter Garnsey, Professore Emerito dell’Università di Cambridge, in pensione si sta prevalentemente occupando di Cesare Beccaria e “Dei delitti e delle pene”. Tutto ciò che lui ha già scritto e che scriverà sarà di fondamentale importanza per aprire il dibattito a livello accademico. E l’Accademia, prima ancora, e la Politica poi devono insieme dire: “No. Non è andata così.” Il Carcere così come è con circa il 70 % di recidiva non va, anche se sì, è sempre andata così. No. Così non va. Esiste un movimento ‘No Prison’, e un’Associazione “Antigone” che raccolgono tutte le statistiche e poi esistono i Garanti, comunali, regionali e nazionali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Tutti hanno raccolto dati e tutti concordano sulla necessità di cambiare.
Dall’Australia all’Italia. Così non va. Durante il secondo anno, il 2018, scoprii che era come stare dentro il documentario di SBS. Dovunque andassi incontravo attori sempre più competenti di me che ero una principiante e sembrava che parlassero ad una voce e dicevano più o meno tutti la stessa cosa: “Come che sia, così non va.” Troppi reati nelle case circondariali sono minori. Troppo confluisce nel penale. Troppa opinione pubblica si bea della frase “Chiudi la porta e butta la chiave”. Alla fine il carcere funziona anche come pattumiera socio economica. Troppo lunghi sono i tempi della giustizia. Quando lo dici sembra una disfunzione procedurale, quando lo vedi sulla pelle della gente sembra ed è una tortura. Troppi soggetti, se fossero stati socio economicamente forti, avrebbero avuto gli arresti domiciliari. Ma io non voglio parlare ‘Dei Delitti e delle Pene’ o della natura giuridica delle varie istituzioni o della tipologia dei reati. E’ compito dell’Accademia, della Politica, della Giustizia. E la riflessione nelle mani del mio amico è a destinazione.
Io mi limito ad osservare e ad elaborare un vissuto esperienziale in cui rivendico il diritto di dire che l’organizzazione è una forma d’arte e che la burocrazia può essere molto creativa se può agire in condizioni ottimali. Nei CPIA le condizioni sono spesso ottimali e quando non lo sono dipende dagli spazi. Nei tempi e negli spazi del carcere, no.
Mi chiedo, ed è la primissima cosa che ho pensato entrando dietro mille porte sbarrate, ma davvero dobbiamo tenere tutta questa gioventù che potrebbe essere bella come il sole come quella di Mare Fuori, buttata troppo spesso sui letti? Ma non sembrano più così belli dopo ore, giorni, settimane, mesi, privati di ogni libertà. Ma davvero non esistono altri modi, altre forme, altri luoghi, altri tempi per commensurare le pene ai delitti minori?
In realtà ci sono centinaia di carceri in Italia. Dovunque si svolgono importanti attività. In alcune realtà come a Rebibbia le attività nel tempo immoto sono addirittura frenetiche. Una, due, cento, mille attività. Dal teatro, alla musica, al cinema, allo studio, alla biblioteca, alla scrittura creativa. E’ tutto magnifico. Ma il ponte con l’attività lavorativa fuori dal carcere c’è? Sì, ma per quanti? E torniamo al Progetto Seconda Chance che collabora con il DAP – Dipartimento amministrazione Penitenziaria – e all’urgenza che ne nascano altri simili, ovvero derivazioni locali di questo. Diminuire il dato della recidiva è interesse comune della collettività.
L’offerta formativa a Rebibbia, per ammissione degli stessi ristretti in pubbliche occasioni, è così ricca da far invidia al personale che magari è campano, pendolare e talvolta di basso livello di istruzione e che tante opportunità da libero non le ha incontrate. Dalla regione Campania limitrofa prima dell’alba pendolano centinaia di migliaia di unità impiegate nel Lazio in ogni dove. Basterebbe chiedere alle compagnie dei treni e degli autobus. Solo da Nocera Superiore parte un autobus ogni ora per Roma. E quello delle quattro ogni giorno ci portava alla scuola sulla Tiburtina la nostra adorata Imma. Ma se devono viaggiare sei ore al giorno, cercando di dormire, non sarà possibile offrire loro opportunità formative neanche nelle organizzazioni più flessibili. Infatti offrivamo spesso opportunità formative ai dipendenti dei CPIA ma di certo non ad Imma.
L’istruzione degli adulti deve essere flessibile ma se l’adulto è troppo flessibile risulta impossibile acchiapparlo. Il Lazio dipende ogni mattina dalla manodopera che arriva dalla Campania e dal sud. Se chiudesse la stazione Termini, troppe chiavi resterebbero in un’altra regione.