«Principalissimo, poi, tra i loro doveri, è dare a ciascuno la giusta mercede. Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma, in generale, si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio»

(Leone XIII da RERUM NOVARUM, 1891)

«I’ vo gridando: Pace, pace, pace»

(Francesco Petrarca da ITALIA MIA, BENCHÉ ’L PARLAR SIA INDARNO, Canzoniere, CXXVIII)

Ora che la Sede Petrina non è più vacante, si può fare un’analisi di quello che è accaduto negli ultimi giorni, dopo la triste dipartita di papa Francesco.

Passato il periodo di lutto, previsto dal cerimoniale vaticano, (il novendiale, ovvero nove giorni calcolati dalla sepoltura del corpo del pontefice), dopo l’indizione e lo svolgimento del Conclave, il cui risultato tutti conosciamo, per quanto sorprendente ed inatteso, possiamo focalizzare l’attenzione sul voto e il suo risultato e sull’esordio dal balcone di piazza San Pietro del nuovo vescovo di Roma.

Anzitutto, l’elezione è arrivata prestissimo, dopo sole quattro votazioni.

Ho seguito l’evento su Rainews24 e, tra la fumata bianca e l’habemus papam del cardinale protodiacono, Dominique Mamberti, i giornalisti hanno intervistato più di un esperto, in particolare docenti universitari della Cattolica e della Gregoriana. E tutti, alla domanda chi fosse l’eletto, hanno risposto che, data la brevità del Conclave, molto probabilmente il nuovo papa era il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin.

Nulla di più sbagliato!

Il cardinale statunitense, ma anche di cittadinanza peruviana, Robert Francis Prevost era invece il nome dell’ “eminentissimum ac reverendissimum dominum”, successore di Francesco.

Ma perché Parolin, o Pizzaballa, o Zuppi, o Tagle, dati per favoriti, non sono stati eletti e i cardinali hanno scelto un outsider, peraltro non vecchissimo, come Prevost?

Dico questo perché l’elezione di un cardinale non tra i favoriti, di solito, avviene come ripiego, come scelta interlocutoria, quando non si riesce a prendere una decisione condivisa, prima di un papato di indirizzo e durevole. E, pertanto, si sceglie un candidato anziano o malandato. In attesa che maturino alleanze solide.

Invece il cardinale Prevost è relativamente giovane e sicuramente in buona salute. E dovrebbe durare, occhio e croce, un ventennio.

In più, l’altra inattesa scelta è stata quella del nome Leone XIV, usato, per l’ultima volta, dal cardinal Pecci, eletto nel 1878, dopo Pio IX, e rimasto sul trono fino al 1903.

Il riferimento è, credo convintamente, a Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, (non certo a quello che fermò Attila sul Mincio), che fu il primo ad aprire la Chiesa al sociale e a trattare la questione del proletariato industriale (e non solo) in un’epoca assai complicata per le relazioni tra imprenditori e operai. Un po’ come oggi.

Il nuovo papa è vicino agli sfruttati e ai poveri, anche per i suoi trascorsi come vescovo in Perù, dove ha conosciuto la miseria degli ultimi e degli oppressi.

Magari, sulle tematiche “morali” è più rigido (vedi il sacerdozio delle donne, la questione degli omosessuali, il divorzio, ecc.). Quindi credo che sui diritti civili non sposterà la posizione della Chiesa di un millimetro.

Ma almeno sulle questioni sociali, del lavoro e dei giusti salari, non mancherà il suo intervento di sostegno ai lavoratori che sono le vere vittime di questo turbocapitalismo che governa il mondo.

Poi, una riflessione merita anche il suo discorso d’esordio, tralasciando il giudizio sul vestimento usato per presentarsi ai romani che è stato un ritorno a quella tradizione che Francesco aveva spezzato presentandosi solamente coll’abito talare bianco, senza mozzetta ed altri orpelli.

Due parole sono subito risaltate all’orecchio di tutti: PACE e PONTE. Pace disarmata e disarmante. Ponte nelle relazioni umane e con Dio che “ama tutti incondizionatamente” (rivedrà la sua posizione sui valori morali?).

Le due parole fanno ben sperare che anche questo papa, dopo Bergoglio, eserciterà il suo magistero morale per richiamare i “potenti della Terra” a deporre le armi, anzi a rinunciare a riarmarsi, per avviare un processo di pacificazione in tutte quelle aree del globo terracqueo oggi assediate dalla guerra, dalla violenza, dai massacri, dai genocidi. L’Ucraina, la Russia, la striscia di Gaza, l’India, il Pakistan, il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia, il Mozambico e via via, fino ad arrivare a 56 conflitti sparsi per il mondo. Un’enormità aberrante.

Molte di queste guerre non hanno il privilegio di essere raccontate, per cui sembra che non esistano.

Ma la guerra tra Ucraina e Russia ci è nota, come anche la macelleria israeliana a Gaza, che anzi, Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele, ha annunciato che continuerà fino allo spostamento di tutti i civili, dopo aver proceduto all’invasione di Gaza stessa: una vera e propria deportazione di quel popolo di disperati, che la nostra civiltà, che si dice superiore, finge di ignorare.

Ursula von der Leyen, la marziale presidente della Commissione europea, la nostra presidente del consiglio Meloni e tutti gli alti papaveri degli stati UE, di fronte alla tragedia palestinese, stanno dimostrando il loro squallore morale, la loro evanescenza politica, il loro servilismo al complesso militare-industriale.

Ecco perché, di fronte a questo sfacelo, ho un sogno: mi piacerebbe che Leone XIV trasferisse temporaneamente la sede papale a Gaza salvando quel disgraziato popolo dall’annientamento programmato come una specie di “soluzione finale”.


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