Del terrapiattismo e dintorni

Una sera di qualche settimana fa stavo guardando Superquark, una cosa che mi capita di fare alcune volte durante le sere d’estate che precedono le vacanze. La voce di Piero Angela, sebbene tremolante per l’età, mi è parsa comunque sempre ferma e chiara nei suoi panni: quelli di un Messia della televisione e della cultura. Per molto tempo nella storia televisiva e, contestualmente (per ragioni che non starò qui a indagare), italiana, la divulgazione scientifica e culturale di programmi come Superquark è stata l’unico mezzo e l’unica fonte di informazione di moltissimi nostri connazionali. I nostri nonni si sono affidati a personalità come Angela per costruire consapevolezza di ciò che non sapevano. L’autorevolezza della fonte veniva certificata dal mezzo: se passa in tv, allora è vero.

Certo, guardando a questa sicurezza con gli occhi del presente, ci pare un po’ ingenua. Ma che differenza c’è rispetto all’attuale credenza che recita “l’ho letto su internet, perciò è vero”?

Proprio Angela, durante la puntata di Superquark che mi è capitato di vedere, ha riservato un piccolo spazio della trasmissione alla distinzione tra opinioni e verità. Un argomento che occupa le mie riflessioni e di cui volevo scrivere da tempo.

La nostra era è dominata dalla circolazione di informazione libera su internet. Le notizie viaggiano sui siti web, decine di miliardi di pagine che crescono ogni giorno e che propongono contenuti più o meno affidabili e autorevoli. Ormai nessuno può più indicarci quale dato sia vero o falso, sta tutto alla nostra sensibilità e conoscenza riconoscerlo. È di sicuro un lavoro difficile, ma bisogna farlo.

Le nostre emozioni giocano un ruolo fondamentale durante la lettura, ma non dobbiamo lasciare a loro la nostra capacità di giudizio e valutazione delle informazioni che ci vengono poste, in serie infinita, sotto il naso. La razionalità richiede uno sforzo, ma solo quello sforzo può salvarci dalle falsità che circolano in rete.

La libertà d’espressione ha trovato piena manifestazione e ragion d’essere su internet, molto spesso in maniera indiscriminata. È certo che la rete sia un posto favoloso, dove tutti possono comunicare e dire la propria. Opinione, per l’appunto. Internet – soprattutto i social – è il luogo dove le opinioni regnano incontrastate: “è così perché lo dico io”. La par condicio dell’espressione ha dato sfogo a teorie infondate, a volte pericolose, che hanno spopolato in seguito. Pensiamo al metodo Stamina, un presunto trattamento medico contro le malattie neurodegenerative, privo di qualsiasi validità scientifica, ma che all’epoca della sua diffusione impazzò sul web e sui social. O al terrapiattismo, che ci riporta indietro di secoli e nega i progressi della scienza. O, semplicemente, ai negazionisti del Covid-19.

L’informazione viaggia su Facebook, spesso tramite titoli strillati da articoli poco affidabili, di cui non si conosce data né fonte, la cui unica qualità è il clamore che suscitano. Articoli che vengono ricondivisi fino allo spasimo, a volte senza neppure darsi la pena di aprire il link e leggerne il contenuto. Le vittime di questi meccanismi malsani vivono e invadono i social, tra una teoria complottista e una bufala, a suon di commenti intrisi d’odio verso chiunque non la pensi come loro. Sapienti di tutto – a modo loro – ed esperti di niente, si sentono incompresi, oppressi dalla mole di cose che non sanno, presi in giro. Il solo modo che hanno di prendersi la rivincita è utilizzare le poche, inquinate, informazioni che credono di possedere come se fossero un distillato di verità, forti di esserne gli unici scopritori e proprietari e, con aria di superiorità e strafottenza, invitare gli altri a informarsi davvero. Forte per queste persone è il bisogno di trovare qualcosa in cui credere, che nel titolo farlocco e celatore di verità nascoste vedono una spiegazione altra rispetto a quella canonica, spesso difficile da comprendere e gestire.

Quando siamo diventati così politically correct da accettare tali prese di posizione infondate e non provare a contrastare l’egemonia delle opinioni? E quando abbiamo iniziato a riderne, invece che provare a instaurare un dialogo?

Chi non è mai rimasto vittima di una bufala? E, una volta accertata la verità, quanti hanno aiutato gli altri a identificare una notizia fasulla? Quanti hanno collaborato nella ricerca di un’informazione più affidabile?

Dividersi in fazioni è inutile, ma è quello che ci è sempre riuscito meglio. Per una volta potremmo allontanarci dalla posizione di massa, che ci vuole disinformati e divisi, e preferire un’alterità di pensiero. In tutti i sensi.