Sulle questioni dei diritti umani si sta giuocando una costante campagna elettorale populista da parte dei cercatori di voti facili

Il recente provvedimento normativo italiano che ha aperto alla possibilità di regolarizzare alcune tipologie di situazioni lavorative vissute sulla pelle di tante persone, molte delle quali immigrate, ha destato non pochi dubbi applicativi che sono stati prontamente sollevati dai patronati dell’Acli.

I lavoratori di fatto impegnati nei settori dell’assistenza alla persona e nel settore agricolo lamentano una poca chiarezza circa la fase di avvio e circa gli esiti dei procedimenti di regolarizzazione. Intanto i movimenti che hanno aderito alla campagna “Ero straniero” hanno continuato la loro denuncia sociale per una normativa chiara, prontamente applicabile senza eccessivi passaggi burocratici, e senza ingiustificate discriminazioni di ancora dubbia costituzionalità.

Il 27 luglio scorso a Roma, a piazza San Silvestro, nel rispetto delle accortezze del periodo attuale si sono riuniti cittadini e attivisti che credono nella possibilità di coniugare i diritti umani con la sicurezza, e la sicurezza all’insegna dei diritti umani, civili e politici con le opportunità strategiche per le casse italiane: occorre ricordare che i lavoratori immigrati ove regolarizzati porteranno risorse non solo umane e culturali ma anche economico-finanziarie all’Italia.

A fine luglio il movimento che si è impegnato nelle campagne “Ero straniero” e “Welcoming Europe” ha chiesto alle istituzioni della politica nazionale di promuovere corridoi umanitari sicuri, protetti giuridicamente e sanitariamente. Si è chiesto pure di interrompere i finanziamenti a quelle entità che vengono chiamate “guardia costiera libica”, poiché troppo spesso in Libia c’è un problema disumano di corruzione e commistione tra gli operatori che figurano nei settori costieri e i campi di concentramento dove le persone vengono torturate e detenute ingiustamente, senza risparmiare nessuno. Dato che la situazione della Libia è molto delicata, le relazioni tra l’Italia e la Libia devono essere regolate in modo peculiare e distinto, e l’Italia in merito a questa questione ha perso una importante occasione di pionierismo umanitario e securitario nella scacchiera internazionale; la Libia non può infatti essere inserita nel comune calderone di affari internazionali.

Come giustamente ha spiegato in Senato a inizio luglio scorso la senatrice radicale europeista Emma Bonino, “le missioni internazionali non sono tutte uguali, e quindi a maggior ragione … non si può votare a pacchetto, non è un tanto al chilo, ci sono alcune missioni internazionali più delicate di altre e dal mio punto di vista più inaccettabili di altre … mi riferisco direttamente alla Libia”. La Bonino ha poi continuato il suo intervento dicendo quanto segue: “l’Italia ha pagato il prezzo per fermare con ogni mezzo, dico bene con ogni mezzo, anche i più disumani, i flussi nel Mediterraneo . . . io non so se l’Italia è mandante, sicuramente è pagante, è il bancomat di quelle operazioni insopportabili e lo ha fatto scegliendo interlocutori che come tanti casi di cronaca hanno dimostrato erano rappresentanti di operazioni criminali … L’Italia paga i carcerieri non per liberare quegli ostaggi ma perché si tengano prigionieri gli ostaggi stessi, fa finta di non sapere ma invece lo sa, e lo fa”.

Sulle questioni dei diritti umani si sta giuocando una costante campagna elettorale populista da parte dei cercatori di voti facili tra le carcasse economiche, culturali e socio-umanitarie del nostro pezzo di mondo mediterraneo. A contrastare queste ottiche bieche e volgari sono le forze laiciste che radicalmente denunciano da sempre le violazioni del diritto interazionale e dei princìpi nazionali, insieme al grande impegno dell’associazionismo cristiano cattolico, valdese-metodista e non solo.

Papa Francesco, grande e illuminato pontefice pragmatico, tanto sta facendo per promuovere le ragioni dell’umanità, accogliendo la sfida di dire cose scomode da una posizione peculiare, pastorale e politico-internazionale al contempo; per non tacere le tragiche verità sull’essere umano del nostro tempo antipolitichese.

Non è più tempo di cristianità fatta di spenti copioni contenenti parole scontate e generiche, è tempo anzi di precisione e precisazione. L’appunto sul taccuino della vita delle campagne legali di umanità sociale internazionale sia la nuova vocazione degli umanisti, siano essi atei, agnostici, buddhisti, musulmani, giudaici, cristiani di tutti i tipi, eccetera: affinché ogni essere umano possa sentirsi sicuro in ogni dove a prescindere dal colore della propria pelle e dalla propria etnia, affinché ogni persona che sappia vivere dignitosamente nel rispetto liberale degli altri possa gridare sorridendo “ero straniero!”.


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Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.