La giustizia sociale ha il compito di soccorrere quelli che sono nel bisogno nella maniera necessaria perché essi possano vivere umanamente

La giustizia non consiste tanto nel dare a ciascuno un “suum” in senso oggettivo-cosale    quanto nel riconoscere i bisogni più personali e fondamentali dell’altro. Ritengo che tra le diverse forme di giustizia che conosciamo (commutativa o di scambio, generale o legale e distributiva) il gesto del cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, debba ascriversi alla forma di giustizia sociale.

Quest’ultima forma di giustizia entrava e si imponeva sempre più nel linguaggio teologico a partire dall’enciclica Quadragesimo anno (1931) di Pio XI. Suo oggetto proprio non sono tanti i diritti fondati sulla legge, quanto i diritti naturali delle comunità e dei suoi membri.

All’origine della giustizia sociale c’è la questione sociale. Nel nostro tempo di rapidi e profondi mutamenti e di coscientizzazione sempre più intensa ed estesa dei diritti umani disconosciuti o minacciati, la giustizia sociale è venuta ad assumere un’importanza considerevole e decisiva.

La giustizia sociale fa appello a una “nuova” giustizia: più sensibile al senso umano e personale dello “ius suum”, efficacemente garante dei diritti naturali e civili della persona e dei gruppi, promotrice quindi di perequazioni ed equilibri nuovi nell’umana convivenza.

La giustizia sociale se ne fa carico, preservando il bene comune dalle incrostazioni di una legislazione e strutturazione rigida e discriminante; e ne addita e antepone le esigenze sempre nuove, adeguandone le istituzioni e le strutture.

In quanto assolve a questo ruolo di individuazione delle emergenze sempre nuove dettate dalle trasformazioni e dai rivolgimenti sociali, in cui di volta in volta prende corpo la questione sociale, la giustizia sociale assurge a un ruolo profetico rispetto alla giustizia legale. È la giustizia dell’ordine nuovo da costituire, in rispondenza alle nuove emergenze.

La giustizia sociale è dunque giustizia sempre nuova. È giustizia profeticamente protesa all’adeguamento dei comportamenti umani, degli ordinamenti giuridici e delle strutture socio-politiche al bene umano comune come bene di tutto l’uomo in ogni uomo, in una società in continua trasformazione e pertanto alla ricerca di nuovi equilibri.

La giustizia sociale non vede l’ultima regolamentazione nella sola giustizia legale e nella giustizia distributiva, che per via d’autorità provvedono all’osservanza della giustizia commutativa.

Andando oltre nell’interesse stesso della comunità, essa rivolge la sua attenzione soprattutto ai deboli economicamente e politicamente, i quali non hanno nulla da dare, ma hanno tuttavia diritti naturali di fronte alla comunità e ai possidenti.

Lo stato (in primo luogo il Comune, poi le comunità più grandi. Provincia, regione, Stato) deve garantire ad ogni membro della comunità la vita, il sostentamento e la possibilità di lavoro, la casa, l’istruzione, la salute.

La giustizia sociale ha il compito di soccorrere quelli che sono nel bisogno nella maniera necessaria perché essi possano vivere umanamente. Il diritto a questo soccorso risulta dal diritto naturale del bisognoso alla vita. La durata di questo aiuto è limitata dalla durata del bisogno. Appena il bisognoso può, di nuovo, aiutarsi da solo, si estingue il dovere di aiutarlo.

Il vero fondamento del diritto non è lo scambio, bensì la natura essenzialmente sociale dell’uomo, anche nei riguardi dei beni e delle prestazioni materiali. Ne risulta l’obbligo, per il ricco di rinunciare a dei diritti e a dei beni legittimi, quando lo esige il bisogno di tutta la comunità o di un individuo o di più individui. Nei riguardi del bisognoso, la giustizia sociale stabilisce uno stretto diritto all’aiuto necessario poiché è solidalmente legato al vincolo della comunità.

La giustizia sociale sorpassa inoltre la giustizia legale. Promana dal diritto naturale. La giustizia sociale secondo la Qaudragesimo anno ed il Concilio Vaticano II (GS 29, 66, 69) sorpassa il rapporto do ut des (fra individuo e individuo o fra comunità e individuo). Essa si può comprendere solamente nella fede di un Dio datore di tutti i beni e i poteri terreni, Padre di tutti gli uomini. Essa è la giustizia di famiglia di tutti i figli di Dio.

Questa giustizia familiare presuppone per una doppia ragione, la carità. Solo la carità può indurre gli economicamente potenti a rinunciare ai loro privilegi e a un ordine economico ingiusto; solo la carità può allargare la visione limitata dal vincolo della propria situazione sociale e far sorgere il “cuique suum” delle diverse categorie sociali. Sotto questo doppio aspetto, la carità è il fondamento della giustizia sociale, cioè come forza motivante e come forza che percepisce ogni volta ciò che è giusto.

Il gesto dell’Elemosinerie del Papa, a pare mio, si colloca in questa prospettiva di giustizia sociale. Pertanto è un gesto “giusto” e altresì un gesto “eversivo”, non perché mirante ad eludere la legge, ma con l’intendo di imprime la lievitazione e il dinamismo a tutta la virtù della giustizia per poter essere ricompresa come un movimento, uno sforzo costante verso la conoscenza di ciò che è dovuto a ciascuno. Un gesto che vuole essere pegno di un ordine socio-economico migliore, in cui ogni uomo – soprattutto il più debole, il più indifeso, il più povero – possa volersi e realizzarsi come uomo.


7 COMMENTI

  1. D’accordo con te don Mimmo..
    La giustizia sociale che supera qualsiasi altra spiegazione del fatto

  2. Anche per me… è un gesto giusto ed eversivo. Anzi, in questo contesto non potendosi dividere le parole, tanto andrebbero all’unisono interpretate, il gesto si concretizza come… “giusteverso”.

  3. Quello delle’elemosiniere del Papa è stato un gesto nobile ed è ascrivibile a quella che è indicata come giustizia sociale.
    Mi chiedo tuttavia, se quel gesto fosse stato fatto dagli abitanti dello stabile, invece che delle’elemosiniere del Papa, avremmo ancora parlato di giustizia sociale oppure di reato? In altre parole: é il soggetto che compie l’azione a determinare se trattasi di giustizia sociale o meno, oppure è l’azione in sé, a prescindere da chi la compie, ad essere ammessa per soddisfare la giustizia sociale senza essere considerata reato?
    Il nobile gesto avrebbe avuto sicuramente più forza se l’elemosiniere del Papa avesse fatto un gesto “caritatevole”: pagare il dovuto, cioè le bollette, a chi di dovere e ripristinare il servizio di energia elettrica nello stabile. Avrebbe, questo gesto, coniugato la giustizia sociale alla giustizia legale. Il concetto che la giustizia sociale superi la giustizia legale può creare cortocircuiti comunicativi e comportamentali, generando situazioni di anarchia: faccio come voglio perché sto praticando la giustizia sociale.

    Senza scomodare la legge divina e il concilio Vaticano II, abbiamo invece la nostra Carta Costituente che sancisce i diritti inalienabili e i doveri dei cittadini e delle istituzioni. La giustizia sociale è in qualche modo codificate negli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana: Art.2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
    Art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana….”
    In pratica il concetto di giustizia è chiaro:
    “Virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge”.

  4. Il gesto compiuto dal cardinale appartine al rango di quelle azioni simboliche che contribuiscono efficacemente alla formazione delle coscienze. Queste azioni cercano di manifestare qualcosa mediante un evento simbolico. Mostrare, dimostrare qualcosa che uno sente, pensa e desidera: adatto a descrivere questo fatto è il termine latino demonstrare. Le azioni simboliche in favore della giusitizia e della pace sono quindi una specie di “ dimostrazione della giustizia e della pace”. Esse, dirette a stabilire la giustiizia e la pace, non la producono direttamente, ma cercano d favorirla attraverso la via della formazione delle coscienze, per cui si collocano pienamente sulla linea delle azioni simboliche dei profeti
    biblici. Pensiamo a una di queste azioni in favore della pace a cui assistemmo durante il ministero episcopale di mons. Bello, è stata realizzata in occasione della guerra nella ex-Jugoslavia.

  5. Monsignore al posto di violare i sigilli e di farsi fotografare da tutti i reporters, non poteva pagare l’arretrato di quanto dovuto, compreso i canoni di affitto nel silenzio (non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta)? Magari dare anche qualche casa a questi disperati. Ricordo che lo stato del Vaticano solo nella città di Roma possiede circa mille immobili, in più un albergo di lusso in piazza Farnese gestito dalle suore Brigidine, il cui costo per notte supera i duecento euro. Troppo facile fare il gesto eclatante contro questo governo che ha scelto il popolo italiano e che i cattocomunisti non digeriscono!

  6. Sono d’accorido. Il bel gesto, per aver valore agli occhi di Dio, va fatto in silenzio, esborsando di tasca propria il dovuto.

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