
La storia di Fatim Jawara, solo una delle 4 mila conclusesi tragicamente quest’anno nel Mediterraneo
Il telefono squilla, ancora. Lo stillicidio di quel suono annichilisce un silenzio torbido di fame e miseria, il villaggio dista due ore dal primo centro abitato. Una stazione di polizia rassicura i parenti dei profughi, quelli che si imbarcano senza meta, quelli che, seppur annegati, riecheggiano nelle coscienze di politici massacratori di sogni, distruttori di pace e mistificatori della realtà. Stavolta, dall’altra parte della cornetta, c’è il sicario, lo scafista, un insensibile boia che, con voce ferma e inerme, racconta a mamma e papà che la loro figlia 19enne, la loro campionessa nazionale non ce l’ha fatta. Un’altra vittima dei barconi. Eppure sembrava davvero andare tutto a gonfie vele (scusate il pessimo e, poco divertente, gioco di parole).
Fatim Jawara era la star indiscussa del proprio Paese, il Gambia. Una ragazzina africana che gioca a calcio? Maddai, non si è mai sentito, specie in una zona dove lo sport viene relegato ad attività secondaria, un posto in cui l’unico traguardo è procacciarsi cibo e acqua. Ma Fatim aveva abbattuto anche queste convinzioni discriminatorie, respingendo critiche come solo una portierona sapeva fare. Fatim viveva tra quei due pali, la traversa era il soffitto da cui ripararsi, un gancio per appigliarsi ad un domani intriso di medaglie ed onori.
Nazionale Under 17 ai mondiali di categoria in Azerbaijan, nel 2012, Fatim Jawara era, incredibilmente, caduta nel dimenticatoio. Il calcio femminile non le assicurava alcun contratto, così, appesi i guanti al muro, decide di salpare per Misurata, città libica, scalo di porti più importanti. Una terra promessa, l’Italia. Ma, si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il Mediterraneo.
Il gommone su cui viaggiava Fatim naufraga lo scorso 27 ottobre, il Presidente della Federazione Calcio del Gambia, Lamin Kaba Bajo ha dichiarato, commosso: “Siamo in lutto per questa grave perdita che colpisce la nazionale di calcio e tutta la nazionale”.
Ad annunciare la scomparsa di Fatim è stato suo cugino, Ablie Jobarteh, anello di congiunzione fra il Terzo Mondo e la società civile, o presunta tale. Già, perchè c’è davvero poco di eticamente corretto in un Occidente che lascia morire odierni migranti e futuri costruttori di solidarietà.
Fatim Jawara è solo l’ultima dei 4mila rifugiati che nel 2016 hanno trovato la morte durante una traversata in mare, il suo talento è negli abissi, il suo orgoglio abiterà per sempre nei nostri cuori.